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Stage Primaverile 2016
Lo stage primaverile, appuntamento ormai curato esclusivamente ed autonomamente dalla nostra federazione senz’alcun ausilio esterno, è stato anche quest’anno particolarmente interessante.
A differenza delle precedenti edizioni, la suddivisione tra i vari i gruppi prevedeva un gruppo da 4°dan in sù un gruppo di 2° e 3° dan ed un gruppo fino a 1° dan.
Qui di seguito il diario scritto da Alessio Nicolini:
Personalmente ho avuto l’opportunità di prendere parte per la prima volta al primo gruppo dove avevamo la supervisione di Zago Sensei e Murata Sensei, quest’ultimo con l’onere di tenere le fila del seminario.
Come abbiamo ripetuto più volte, Takuya Murata è una risorsa importantissima della nostra federazione, sotto tantissimi punti di vista.
Partiamo da quelli più ovvi: conosce il Kendo, lo sa praticare ottimamente e conosce quello che si cela dietro i termini della sua lingua madre, il giapponese appunto.
I meno ovvi sono invece la capacità di spiegare in modo inequivocabile quanto sopra grazie ad una didattica adatta a noi “non giapponesi” e con una padronanza della lingua invidiabile.Ma andiamo a vedere su cosa si è lavorato sabato…
La giornata è stata suddivisa concentrando la mattinata su un’emergenza. Proprio così, avete letto bene.
Murata Sensei ha introdotto il seminario con “I maestri giapponesi concordano sul fatto che siamo carenti su Do-uchi”.
L’accento è stato posto prima di tutto sull’hasuji facendo molta, moltissima attenzione sull’inclinazione dello shinai prima e dopo l’impatto.
La presenza di Lorenzo Zago, arbitro internazionale di primo piano, ha contribuito a comprendere ancor di più come mai alcune esecuzioni che possono apparire come colpi validi, in realtà non lo sono in quanto il percorso fatto dalla nostra spada è incoerente con la direzione del taglio (e quindi dello tsuru dello shinai).
Ad esempio, il più delle volte la lama è parallela al terreno ma il movimento con cui è stato portato il colpo è diagonale.Dopo aver praticato con cura su quest’aspetto, abbiamo poi applicato la tecnica in situazione più complicate come men-nuki-do o men-kaeshi-do, sia con okuri-ashi che con fumikomi.
Murata Sensei, proprio durante la spiegazione di Kaeshi do ha insistito sul cercare di riconsegnare quanto prima tutta l’energia ricevuta dal men dell’avversario.
Prendere l’energia dal men prima che questa venga esaurita, riconsegnarla di fatto con Do-uchi immaginando nel punto della “parata” un fulcro, come ad esempio un chiodo.Un altro focus è stato poi posto sul percorso “disegnato” dalla punta dello shinai. Nel colpire Do-uchi molti di noi facevano un ampio movimento che portava la punta dietro la linea del corpo, con il risultato che oltre ad essere lenti, quindi inefficaci sul nuki o kaeshi, colpivano do orizzontalmente e non in diagonale.
Oltre al corretto movimento delle braccia e polsi abbiamo quindi approfondito l’uso delle anche affinché l’impatto sul bersaglio fosse nel fianco
del do e non frontale, condizione essenziale per yuko datotsu.Terminata la prima sessione di studio abbiamo avuto l’opportunità di praticare jigeiko fino alla pausa pranzo.
La sessione pomeridiana è stata invece oggetto di un argomento molto profondo, trattato dallo stesso Murata circa 6 anni fa a Castenaso durante unseminario tecnico culturale che alcuni ricordano illuminante.
Vi suggeriamo di andarlo a rileggere cliccando al seguente link:
kendonellemarche.wordpress.com/2010/05/05/sen/
Quel seminario gettava le basi per concetti molto profondi e che almeno per me ora hanno un sapore decisamente più ricco.
A causa del forte kiai degli altri gruppi siamo usciti a pochi metri dal palazzetto per ascoltare la lezione teorica di Murata Sensei sul sen.
Terminata la lezione abbiamo cercato di mettere in pratica il tutto con il bogu addosso.
Come preannunciato da Zago Sensei, il lavoro mentale è stato molto faticoso. Attuare il “non c’è fretta di morire” evitando di muoversi per primi ma mantenendo una forte pressione sull’avversario, da un lato ha consumato molte energie in ognuno di noi, ma ha aperto, almeno per il sottoscritto, una porta del Kendo davvero affascinante.
Ritengo che accanto alla quantità di sudore che il Kendo obbliga a versare nei nostri kendogi, una buona dose di concetti teorici aiutino a vivere questa meravigliosa disciplina con maggior consapevolezza.
Ringrazio quindi sia Takuya Murata che Lorenzo Zago per la bellissima giornata di Kendo donataci sabato.
Purtroppo non avendo potuto partecipare alla sessione di domenica sui Nihon Kendo no Kata so d’aver perso molto ma sarà sicuramente da stimolo per la prossima volta.
Ecco invece la parte relativa al gruppo 2° e 3° dan scritta da Marco Papetti:
Iniziamo dalla fine.
Nello spogliatoio non c’è la solita aria gioviale che si respira al termine di un seminario. Gli animi sono un po’ tesi, c’è chi in silenzio sta metabolizzando quello che è appena successo, c’è chi non riesce a contenere la propria delusione e la manifesta in maniera più o meno consona al nostro ambiente. Si, delusione. Perché malgrado quanto siamo soliti raccontarci a proposito degli esami, a proposito di quella famosa birra che va stappata in compagnia sia in caso di successo che di insuccesso, a proposito di questo successo che poi non dovrebbe consistere nel “passare” un esame, ma nel tornare a casa con qualcosa in più. Malgrado tutto ciò, non superare una prova è sempre una delusione ed i numeri di questa sessione parlano chiaro: solo 7 promossi per sandan, yondan e godan.
Allora cercando di attingere fino alla fine da questa esperienza avvicino Lancini e Zago sensei, i maestri della commissione che meglio conosco e che un po’ mi conoscono, per capire bene cosa non è andato. Parliamo solo degli aspiranti sandan, che hanno registrato 3 promossi su 21. Con un enorme sforzo di sintesi quello che non è andato è stato: i più giovani hanno approcciato il jigeiko come se si trattasse di fare uchikomi, nei meno giovani mancava il kikentai. Ovviamente quanto da me riassunto lascia il tempo che trova, ognuno avrà bisogno di analizzare il proprio kendo, ma sono due appunti che certo non si addicono ad un sandan.
Torniamo un po’ indietro e siamo al seminario. C’è un po’ d’ansia nell’aria, ma si respira di certo un’altra atmosfera, quella consueta dei giorni di pratica. Sono nel gruppo centrale guidato da tre sensei nanadan molto diversi tra loro: Pomero, Bolognesi e Amoruso. Non ho citato la diversità tra i maestri a caso, ma proprio proprio perché è stata un’indicazione di Walter Pomero quella di saper riconoscere le particolarità di ogni praticante di Kendo, di voler apprendere da tutti e di riuscire ad applicare alla propria pratica quanto è utile per ognuno di noi, in base alla propria personalità, alla propria fisicità e a quant’altro costituisca la propria unicità.
La pratica dei due giorni si è svolta quindi sullo studio dei fondamentali, ma con un’attenzione particolare a dei dettagli: le direzioni dei tagli, il corretto movimento dei piedi, la postura. Amoruso sensei ha diretto lo studio dei kata, ci sarebbe stato molto da imparare dal maestro ma purtroppo il tempo a disposizione è stato breve per poter approfondire le sette forme. Capita spesso nei seminari e, vorrei dirlo, colpevoli sono anche i praticanti che non conoscendo a fondo l’argomento fanno si che in questi seminari lo studio della sequenza sia sempre anteposto a quello dei dettagli. Un’ammonizione in tal senso, se pur con bonarietà, ci è stata data anche dai maestri. Estremamente interessante infine è stata una prova d’esame per il sandan ed una per lo yondan a cui hanno preso parte delle coppie di praticanti. La volontà del maestro era quella di illustrare i criteri di valutazione della commissione, riguardo l’aspetto tecnico, l’attitudine ed il mondo di affrontare un esame. Visto poi l’esito della prova, forse approfondire questo punto sarà utile anche per la prossima occasione… In ogni seminario non possono mancare i Jigeiko che chiudono ogni sessione di pratica, visto il numero di praticanti quest’anno il ruolo di motodachi era affidato ai nanadan ed ai rokudan. Dopo anni che ricevo le stesse osservazioni, questa volta i consigli avuti sono stati diversi. Una piccola soddisfazione e qualcosa di nuovo su cui lavorare!
Da Porto San Giorgio, per quella che non può che essere ogni volta una grande esperienza, eravamo io (Marco) e Laura. Torniamo a casa con molto da fare e tanto da trasmettere ai nostri compagni di pratica.
Rinnoviamo infine le nostre congratulazioni ai nuovi gradi shogo premiati sabato al termine del seminario.
Walter Pomero a Poitiers
Nel weekend del 28 febbraio e 1 Marzo, Walter Pomero (Kendo 7°dan renshi) è stato ospite del Kendo Club Poitiers per uno stage. Nel video che vedete qui sotto troverete un piccolo spaccato della due giorni di Kendo in questione oltre ad una breve intervista a Walter Pomero, Responsabile della Nazionale Italiana ;-).
Lo Stage CIK
Crediamo che “Lo stage CIK” sia il titolo migliore per questo articolo.
Il tradizionale stage federale di Giugno ha sempre visto la presenza di almeno due Maestri giapponesi come guide del seminario e delle commissioni d’esame.
Con il weekend scorso la federazione ha invece assegnato entrambi i compiti ai suoi 7°dan:
Zago Lorenzo
Lancini Livio
Murata Takuya
Moretti Gianfranco
Pomero Walter
Bolognesi Arialdo
Le pratica delle due giornate di Kendo è stata organizzata suddividendo i kenshi presenti a Modena in tre gruppi seguiti da tre coppie d’insegnanti.
Bolognesi e Pomero per praticanti fino al 2° dan, Moretti e Murata per kenshi 3° dan ed infine dal 4° dan in poi nel gruppo guidato da Lancini e Zago.
Lo stage che ho personalmente vissuto da vicino è stato quello curato da Murata Takuya, coadiuvato dal Presidente Moretti Gianfranco, che abbiamo personalmente rigranziato per l’intervista concessaci e pubblicata in due puntate qui e qui.
Nel rivedere Murata Sensei torna vivo in me il bellissimo ricordo del 1° seminario tecnico culturale in cui lo stesso Murata (al tempo 6°dan) assieme a Livio Lancini, illustrarono il concetto di SEN e l’enorme universo che vive dietro quelle tre lettere… Un seminario memorabile il cui racconto lo trovate qui e che vi confessiamo siamo soliti rileggere regolarmente.
Anche per questo racconto, come per lo stage sul SEN, cercheremo in punta di piedi di raccontare quello che abbiamo vissuto in questi due giorni.
La partenza del seminario è con i suburi, facendo molta, moltissima attenzione sul timing. Se in alcuni casi questo tipo di esercizio viene usato come fase di riscaldamento per i muscoli più sollecitati nel keiko, sabato è stato invece sottolineato quanto sia importante l’esecuzione del taglio subito dopo il comando del Maestro.
“Pensate che il mio comando sia il men dell’avversario”. Con questa semplice spiegazione l’intera fase dei suburi ha immediatamente assunto un sapore diverso. Non un ritmo cadenzato ma veri e propri fendenti!
La seconda fase dell’allenamento di sabato mattina è stata concentrata sui kata, in particolare il primo. Il più difficile. Nel praticare Kendo spesso si ha la sensazione di vedere la parte dei kata e quella in bogu come due realtà legate solo per concetti astratti, in alcuni casi filosofici. Questo è parzialmente vero.
Nel rivedere e cercare di migliorare la nostra pratica dei kata, Murata Sensei non ha esitato a sottolineare sempre con dovizia di dettagli tecnici e culturali quanto il mondo del bokuto e quello dello shinai siano così vicini.
Considerando che l’intero stage era effettivamente mirato alla miglior preparazione possibile per gli esami di domenica, non sono mancati di certo i richiami ai requisiti necessari per il superamento del grado.
Se il taglio nel suburi doveva essere eseguito pensandolo come un controattacco, lo stesso doveva a maggior ragione avvenire nei kata: shi-dachi, nel rispondere all’attacco di uchi-dachi, deve immediatamente chiudere l’azione. Il M°Moretti ha inserito una nota davvero significativa che vogliamo condividere riassumendo brutalmente il concetto così: un buon kata lo si ascolta senza vederlo. Se il kiai “To” di shi-dachi non è una pronta risposta al kiai “Ya” di uchi-dachi, possiamo dire con certezza che non è stato ben eseguito.
Tantissime sono state poi le annotazioni fatte kata dopo kata, su moltissimi dettagli. Per non parlare poi di storia vera e propria, del percorso che il kendo, inteso come arte, ha vissuto per generare le 10 forme che pratichiamo ai giorni nostri. La profondissima sintesi delle oltre 150 scuole di spada giapponese, cercando di racchiudere quanti più elementi in modo di poterle rappresentare tutte, deve responsabilizzarci su quanto sia importante la corretta esecuzione nella loro interezza, Non solo forma, ma anche una tradizione da rispettare profondamente in ogni dettaglio, senza lasciare nulla al caso. Con consapevolezza.
Dopo aver provato i primi 7 kata, indossiamo il bogu ed entriamo nel mondo dello shinai.
A parte il gran caldo nell’indossare il bogu a Giugno, non si nota un’enorme differenza tra la pratica con bokuto e quella con shinai, quasi a conferma che il mondo dei suburi, dei kata e del keiko in bogu sono magicamente elementi presenti in un unico contenitore.
Il come preparare la base per questo tipo di approccio è come sempre nella parte inferiore del corpo.
Se qualcuno aveva infatti ancora dei dubbi sull’importanza dell’uso delle gambe per poter esprimere un buon kendo, ha avuto modo di capire quanto il movimento corretto delle gambe, ma soprattutto delle anche, sia una condizione basilare.
L’uso della gamba sinistra finalizzato a costruire il riferimento per un ma-ai corretto a seconda del tipo d’azione che si vuol costruire.
Non cadere quindi nel “tranello” che la distanza tra noi e l’avversario sia tra i due men, ma metabolizzare il fatto che la vera distanza è tra il nostro piede sinistro e quello del nostro compagno.
Non scaricare il peso del corpo sul piede destro così da esser più dinamici possibile.
Avere l’intera gamba sinistra ben distesa, non flessa e non bloccata.
Pensare ad okuri-ashi come un movimento di un unico tempo.
E tanto altro…
Dopo aver costruito una buona base fisica, con gambe ed anche pronte, si è iniziato a lavorare sugli arti superiori, sull’eseguire il caricamento del colpo affinchè il nostro shinai non si distaccasse da quello del nostro avversario od al massimo solo nell’ultimissima fase del movimento. E’ qui che il tema ricorrente dell’intero seminario s’inizia a far largo. La condizione imprescindibile per un kenshi 4°dan è voler a tutti i costi comunicare con il compagno/avversario anche per mezzo dello shinai. Saper ascoltare attentamente quello che “prova” il kendoka che abbiamo di fronte, scuotere in lui delle reazioni attraverso un seme forte, non esclusivamente fisico.
Il livello d’attenzione che il gruppo riversa nelle parole di Murata e Moretti è altissimo.
Nel programma generale dello stage, rientrava anche il mawarigeiko all’interno di ognuno dei tre gruppi. Uno dei veri punti di forza dell’intero seminario. Il potersi confrontare in jigeiko con compagni di un livello non troppo distante dal nostro, mettendoci in condizione di mettere in pratica tutti i suggerimenti avuti nel corso dello stage, è stato molto utile, anche in vista dell’esame.
La giornata di sabato si è conclusa con un jigeiko libero dove Maestri 6° e 7° dan fungevano da motodachi per tutti i presenti allo stage.
Tra l’attesa in fila per poter fare almeno un paio di jigeiko con i Maestri e sfruttare il tempo a disposizione cercando praticanti disponibili per avere quante più opportunità di jigeiko possibile, giunge al termine la primo giornata del weekend.
I feedback a fine stage, i commenti negli spogliatoi e gli sguardi che vediamo tra i vari presenti fanno traspirare una piacevole soddisfazione, ma siamo solo a metà!
Ci aspetta un’altra intensa giornata domenicale di kendo…
Gli impegni familiari mi costringono a rientrare a casa immediatamente, e nel rientro con Davide concordiamo sul fatto che sono tantissimi gli aspetti positivi di questa prima parte del seminario.
Domenica mattina si riprende dai kata ed in particolare dalle tre forme con kodachi. Alcuni di noi non le conoscono bene, e quindi Murata e Moretti devono mettere in campo tutte le loro capacità didattiche, di sintesi e di “pronto soccorso” per far sì che almeno coloro che si sottoporrano alla commissione d’esame abbiano i requisiti minimi per il superamento del grado.
Anche qui non mancano di certo gli elementi per vivere la pratica con bokuto con spirito pieno e ricco d’attenzione.
Il M° Moretti ed il M°Murata concordano sul fatto che è molto più utile evitare la pausa prevista da programma dopo i kata a favore invece di prove d’esame tra i presenti. Siamo tutti entusiasti della scelta!
La voglia di sfruttare al meglio quest’opportunità è tale che in pochissimo tempo tutti coloro che devono sostenere l’esame nel pomeriggio trovano un compagno per potersi sottoporre a questo test.
Le raccomandazioni sono pochissime, ma di una chiarezza lampante. Massima attenzione per l’etichetta, in particolar modo il saluto. Oltre ad assicurarsi di essere vestiti in modo impeccabile, viene posta altissima attenzione al rei-ho. Se non si entra in contatto con il nostro compagno sin dal saluto iniziale, è inutile proseguire con il jigeiko. Si è già bocciati. Riguardo invece ai jigeiko, si torna sull’argomento centrale, per non dire centralissimo, di questo weekend. Entrare in contatto con chi abbiamo di fronte. Il 4° dan è la porta per un kendo che va oltre la tecnica. Questa deve ovviamente rimanere! A tutto ciò che si è appreso finora dal punto di vista tecnico va aggiunto un approccio mentale e spirituale che porta a costruire l’azione in modo attivo. Non attaccare mai nella speranza di raccogliere nell’azione che si sta per compiere tutte le condizioni di yuko-datotsu, ma creare l’opportunità. Far emergere questa ricerca nel modo più chiaro possibile. Anche il ridurre il numero di azioni da eseguire è un elemento da non sottovalutare. Attaccare a ripetizione può essere spesso un segno che denota scarsa disponibilità al dialogo.
Arriva il momento del jigeiko finale.
Noto con profondo piacere il desiderio di tutti i motodachi di volersi concedere a quanti più kenshi possibile, anche a costo di ridurre la durata di ogni jigeiko.
E’ caldo, ma la stanchezza lascia il posto alla voglia di non sprecare neanche un secondo del tempo che abbiamo a disposizione. Soprattutto perchè si ha la consapevolezza che siamo quasi alla fine. Ed allora, dopo un rapido sguardo all’orologio, ci si rende conto che non c’è tempo per aspettare il proprio turno in fila e ci si butta in mischia con altri praticanti. Fino allo scoccare dell’ultimo secondo delle 13:00.
E’ finito lo stage.
Ci togliamo il men e Livio Lancini, a nome di tutti e sei gli insegnanti, si alza in piedi per ringraziare i tanti presenti.
In quel preciso istante parte un applauso spontaneo, un lunghissimo applauso che arriva al cuore di tutti.
Si rompe l’equilibrio tra forma e sostanza.
Da popolo mediterraneo quale siamo, quando ci troviamo ad esprimere la gratitudine col cuore lo facciamo in modo evidente, quasi per poter avere la certezza che il senso di riconoscenza arrivi in modo inequivocabile.
Senza nemmeno pensare lontanamente che il kendo italiano possa fare a meno di guide provenienti dal Giappone, credo di poter dire a nomi di tanti che un’occasione di portata nazionale in cui il Kendo viene tramandato in modo più vicino alla nostro metodo inconscio ed alla nostra tradizione di apprendimento, è sicuramente un’esperienza da ripetere.
Non so quando o con quale cadenza, ma da semplice praticante quale sono, credo sia un aspetto che va almeno considerato.
Che dire poi delle sessioni d’esame…
Davide, il mio compagno di quest’avventura, ha superato brillantemente l’esame di 3° dan consolidando quindi le fondamenta del nostro dojo.
http://ikendenshin.wordpress.com/2014/06/09/3-dan-modena/
Alcuni amici superano gli esami ed altri purtroppo no, ma vogliamo chiudere questo racconto con una foto che a nostro avviso racchiude appieno lo spirito presente in questi due giorni di Kendo.
Lo stage CIK per me è stato questo. E per voi?