Kendo nelle Marche


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Le parole in pratica. Il semé e il tamé – Stage tecnico culturale di Kendo a cura di Takuya Murata (Kyoshi 7°dan)

Scoprire il significato profondo delle cose, non smettere mai di cercare di afferrare il senso e di capire il valore intrinseco di un’azione – o di una situazione – e, attraverso questa comprensione, provare a migliorare l’azione stessa aggiungendo di volta in volta un po’ di coscienza e di consapevolezza in più: è quello che ci permette di migliorare giorno dopo giorno e di vivere le cose con maggiore cognizione, prendendo in mano noi stessi verso un nostro personale e costante percorso di crescita.

Il significato delle parole – e di conseguenza la realizzazione pratica dei concetti che le parole stesse rappresentano – è stato il tema centrale del seminario tenuto da Takuya Murata il 26 febbraio 2023 a Castenaso (BO).

Due in particolar modo le parole (e i concetti) prese in considerazione: semé e tamé.

Semé è un termine che appartiene certamente al vocabolario quotidiano del kendo. Ogni praticante ha sicuramente sentito questa espressione fin quasi dal suo primo giorno di esercizio e, a poco a poco, ha cominciato ad avvicinarsi al suo contenuto e a tentare di interpretarne alcuni aspetti.

Ma siamo sicuri di avere davvero afferrato il concetto nella sua completezza? O possediamo solo piccoli frammenti di esso?
E quanto di questo concetto così sfaccettato e complesso si concretizza effettivamente nella nostra pratica?
Abbiamo mai provato a fare un elenco di quante e quali sono le cose che possono provocare una reazione in un nostro ‘avversario’?
Potrebbero dirsi infinite, e l’ideogramma del semé, probabilmente, le include tutte.

Murata Sensei ha provato a fare una sintesi estrema e lo definisce con 3 P:

  • Pressare
  • Penetrare
  • Provocare

dove, ovviamente, ognuno di questi termini assume una valenza fortemente psicologica, oltre che fisica.
Ma lo scopo qual è?
Ovviamente (o forse non sempre così tanto…), indurre l’avversario a partire per primo perché, come ripete spesso lo stesso Murata parafrasando un antico detto giapponese, chi parte per primo è un uomo morto!

Nella pratica, durante un combattimento (come in qualsiasi ‘duello’ ci troviamo ad affrontare nella vita) dovremmo imparare a “vedere” cosa accadrà, sapere prima come il nostro antagonista si muoverà.

Il termine “vedere” in giapponese si può trascrivere con due differenti ideogrammi: uno rappresenta il “vedere fisico” (che potrebbe corrispondere al nostro “guardare”, il considerare l’esteriorità, ciò che succede relativamente al corpo); l’altro è il “vedere prima” o il “vedere dentro” (quello che noi occidentali spesso chiamiamo ‘terzo occhio’).

Dobbiamo quindi già “pre-vedere” quale sarà la mossa di chi ci sta di fronte prima che lui stesso decida di tirare il suo colpo. E questo diventa possibile quando, con il nostro semè, siamo stati in grado di indurlo verso l’azione che noi stessi avevamo “pre-visto”. La nostra, quindi, non sarà mai una reazione “di riflesso” a qualcosa che succede all’improvviso e che non ci aspettiamo: non diventa solo una questione di velocità; ma si tratta di una combinazione raffinata e incessante di pressione, penetrazione e provocazione che ci permetta di essere la causa scatenante di un effetto voluto: dobbiamo essere, in ogni momento, i gestori dell’In-Ga, i creatori del rapporto causa-effetto.

Accade, tuttavia, che il semé del nostro contendente sia della stessa ‘intensità’ del nostro: è abbastanza probabile che la persona che abbiamo di fronte tenti di applicare altrettanta pressione-penetrazione-provocazione creando così una situazione di ‘stallo’. Cos’è, quindi, che farà partire uno dei due prima dell’altro?

La differenza la farà ciò che Murata definisce con tre ‘A’:

  • Accumulare energia
  • Aumentare la sensibilità
  • Accendere (preparare) il corpo

Ovvero il Tamé.
Spesso si parla del Tamé come di una diga che contiene l’acqua che vuole straripare e inondare ciò che gli sta davanti.

Tuttavia la metafora della diga restituisce un eccessivo senso di staticità. La capacità di contenere non deve mai essere un muro ‘passivo’ perché nel momento in cui la sua unica funzione diventasse quella di subire inerte la spinta dell’acqua, ne rimarrebbe a sua volta travolto e si disgregherebbe trascinato dalla combinazione di forze che tirano e spingono verso il diventare effetto più
che verso l’essere causa. Il Tamè, invece, è una tensione in equilibrio che continua a montare attimo dopo attimo, un arco che si tende impercettibilmente all’infinito senza spezzarsi, un’onda in sospensione che attende il momento giusto per frangersi sull’arena della competizione.

Ma nel kendo (come nella vita, del resto) oltre la comprensione è necessaria la conoscenza perché, come dice Remy de Gourmont (scrittore francese di fine Ottocento) l’intelligenza può essere utile per giudicare un atto, ma perfettamente inutile per compierlo. Per imparare è indispensabile, quindi, calare sempre i concetti e le filosofie nella realtà, farli diventare esperienza pratica.
E così ognuno di questi concetti deve diventare l’idea che guida i nostri passi, le nostre mani, il nostro corpo in ogni situazione, per svegliare e attivare un modo ‘diverso’ e non giudicante di percepire ciò che ci accade intorno; perché su quella via (-do) che abbiamo scelto di seguire, per raggiungere pienamente il risultato che desideriamo ottenere il primo ‘nemico’ da sconfiggere, non è ciò (o chi) ci sta di fronte, ma è sempre in noi stessi, nel nostro cercare di ‘interpretare’ a tutti i costi, nell’incapacità di vivere ‘semplicemente’ appieno ogni cosa.
II semé e il tamé – così come tutti gli altri concetti che incontriamo nel Budo – più che ‘compresi’ con l’intelletto vanno quindi esplorati e praticati in prima persona, in ogni momento: nei katà così come nel jigeiko, in uno shiai così come nello studio di una tecnica, nel nostro dojo così come nel nostro vivere quotidiano.

Gino Fienga

IKENDENSHIN A.S.D.

www.kendopesaro.it


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Stage Tecnico-Culturale di Kendo condotto da Takuya Murata Castenaso (BO), 19 febbraio 2017

 

credits – Kendo Emilia Romagna

Alcuni giorni dopo la pubblicazione del breve report di Alan sull’interessantissimo seminario di Castenaso dello scorso 19 Febbraio, siamo stati contattati dal M°Murata che molto cortesemente ci ha offerto il suo contributo affinché alcune imprecisioni riscontrate nel nostro scritto fossero corrette ed a proporci un riassunto di suo pugno riguardo la giornata da divulgare alla comunità di kendoka che segue il nostro blog.

Impossibile rifiutare una proposta di questo tipo!

Il M°Murata Takuya (Kendo Kyoshi 7°dan e Jodo Renshi 6°dan), al quale inviamo a nome di tutti i nostri lettori un sentito ringraziamento, ha redatto questo scritto che pubblichiamo testualmente.

 

Tema 1 ASHISABAKI

A. Okuri-ashi in avanti (Riassunto dell’anno scorso)

Differenza fra Yori-ashi e Okuri-ashi

Caratteristiche principali dell’Okuri-ashi in avanti

  • Gestire il peso del corpo costantemente con il secondo piede
  • Tempo di esecuzione in un unico tempo (Icibyoushi)

Suggerimenti:

Si spinge col piede posteriore e il piede posteriore rientra.

Non appoggiare il piede anteriore prima e poi richiamare il piede posteriore. Diventa un passo che consuma due tempi (Yori-ashi).

Invece di mandare in avanti il piede anteriore mandare in avanti il ginocchio anteriore.

Ricordarsi del cigno che avanza sulla superficie d’acqua.

(Sopra le anche non si muove e il Kamae dev’essere immutato di postura e alimentato di dinamica nello spostamento.)

B. Okuri-ashi indietro

  • Ricordarsi sempre che si tratta di un passo d’attacco e non di fuga.
  • Le angolazioni tra il ginocchio anteriore e il collo del piede anteriore vengono mantenute. (Mantenere e gestire il baricentro in avanti mentre si indietreggia.)
  • Come nel caso dell’Okuri-ashi in avanti, mantenere sempre il peso del corpo nel piede posteriore.

<Dimostrazione: Esempio dell’Okuri-ashi indietro>

Nihon Kendo Katà Ippomme: lo spostamento dello Shitaci quando schiva il colpo dell’Ucitaci.

<Esercizio: Okuri-ashi indietro>

<Dimostrazione: Degashira-wazà o Debanà-wazà con l’uso corretto degli Okuri-ashi>

Importanza di mantenere e gestire il peso del corpo costantemente col piede posteriore.

<Esercizio: Uso corretto degli Okuri-ashi>

Ucitaci: 3 Okuri-ashi indietro – Motodaci: 3 Okuri-ashi in avanti

<Esercizio: Debanà-men con l’uso corretto dell’Okuri-ashi – prima parte>

Ucitaci: All’inizio del terzo Okuri-ashi del Motodaci, eseguire il Colpo di Men in avanti

Motodaci: 3 Okuri-ashi in avanti

<Esercizio: Debanà-men con l’uso corretto dell’Okuri-ashi – seconda parte>

Ucitaci: Al tempo del terzo Okuri-ashi del Motodaci; Colpo di Men in avanti

Motodaci: Un istante prima del Men di Ucitaci eseguire Debanà-men al posto del terzo passo

<Esercizio: Generare il Debanà-men dall’Okuri-ashi>

A coppie, muoversi liberamente ma, ad ogni passo, adoperare in maniera corretta gli Okuri-ashi.

Appena si ode il fischio, da dove ci si trova in quel momento, eseguire direttamente il colpo di Men veloce.

Al fischio, Motodaci esegue un mezzo passo in avanti. All’inizio dell’avanzamento del Motodaci, l’Ucitaci esegue Debanà-men.

*Importante: Gestire costantemente il peso del corpo col piede posteriore.

C. Humikomi-ashi

<Spiegazione e dimostrazione del Humikomi-ashi>

Humikiri-Humikomi-ashi

I componenti immancabili in una mossa di un colpo eseguito col Humikomi-ashi

  • Humikiri-ashi (Forza esplosiva)
  • Humikomi-ashi (Peso corporeo e potenza)
  • Tsuké-ashi (Forza del lato sinistro del corpo)
  • Okuri-ashi (Potenza dell’intero corpo)

<Esercizio: Senza lo Shinai, provare ad attivare ogni singolo componente portandosi verso il corpo del Motodaci>

D. Hiraki-ashi

<Spiegazione e dimostrazione del Hiraki-ashi>

Esempio dell’esercizio di Hiraki-ashi eseguibile da solo

Verso sinistra, usare il Kae-ashi (cambio del piede)

  • Non modificare i Maai col Motodaci
  • Gestire e mantenere sempre il peso del corpo col piede posteriore

(Non lasciare una parte del corpo sulla traiettoria del movimento della spada e del corpo del Motodaci.)

*Esempio del Hiraki-ashi che avanza (Hiraki-ashi dell’attacco)

(Nihon Kendo Kata – Kotaci Ipponme, Kotaci Nihonme)

<Esercizio: Attivazione di: Humikiri, Humikomi, Tsuké (Hikitsuké) e Okuri-ashi finale per un colpo di Men>

  • Colpo di Men potente e veloce con l’attivazione dei 4 componenti essenziali
  • Debana-men che distrugge Debana-goté

Dopo il colpo, coll’Okuri-ashi finale, andare via velocemente come un soffio forte di vento

Tema 2 TENOUCI

<Spiegazione del “Te-no Uci”>

I Tenouci ai vari livelli e in diverse dimensioni

Alcuni punti importanti nell’impugnatura dello Tsukà e nella postura del colpo

Prendere lo Tsukà dello Shinai dall’alto (e non dal lato)

Le valli fra i pollici e gli indici sono in linea con il dorso della spada

Non stringere mai lo Tsukà e non chiudere il dito indice e il pollice di entrambe le mani

Abbassare le spalle

Non aprire i gomiti

Quando si carica lo Shinai non lasciare lo spazio fra il dito mignolo e lo Tsukà

Non ruotare, nel momento del colpo, né verso l’esterno né verso l’interno, i gomiti

Pareggiare le altezze di entrambe le spalle nel momento del colpo

<Attivazione del Tenouci>

*Tenere lo Tsukà impugnandolo gradualmente dal dito mignolo di entrambe le mani

*Colmare ogni spazio fra il palmo di entrambe le mani e lo Tsukà

*Elasticità dentro entrambe le mani, sempre

*Mai stringere con la forza lo Tsukà

*Mai usare la chiusura delle dita indice e pollice

*La direzione del colpo viene decisa dal corpo e dal Seichùsen del corpo non dalle braccia o dalle mani

*Ogni colpo viene realizzato con la chiusura graduale dal dito mignolo al dito medio di entrambe le mani

*Lo Tsukà va avvolto nelle mani. Non stretto dalle mani.

Spiegazione: “Chakin-shibori”

Spiegazione: “Saé”

Spiegazione: “Kànkyu”

<Dimostrazione: la mano che lancia lontano un sasso>

<Dimostrazione: il Tenouci del rebound>

*Recuperare dentro le mani il rimbalzo dello Shinai immediatamente dopo il colpo

<Spiegazione: un’altra importanza della pratica di Kirikaeshi>

*Tenouci degli Uké

*Applicazione del Tenouci dell’Uké agli Wazà come Suriaghe e Kaeshi

<Dimostrazione: Koté-Suriaghe-goté, Koté-Kaeshi-men, Men-Kaeshi-doh, Men-Suriaghe-men>

<Esercizio: Acquisizione del Tenouci col Hayasuburi con il Suri-ashi (applicare il Tenouci morbido e leggero)>

<Esercizio: Colpi di Men con il Tenouci>

<Esercizio: Acquisizione del Tenouci in Nidan-wazà (Importanza del Tenouci nel primo colpo)>

Takuya Murata – Kendo Kyoshi 7°dan e Jodo Renshi 6°dan


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Stage Primaverile 2016

Lo stage primaverile, appuntamento ormai curato esclusivamente ed autonomamente dalla nostra federazione senz’alcun ausilio esterno, è stato anche quest’anno particolarmente interessante.

A differenza delle precedenti edizioni, la suddivisione tra i vari i gruppi prevedeva un gruppo da 4°dan in sù un gruppo di 2° e 3° dan ed un gruppo fino a 1° dan.

Qui di seguito il diario scritto da Alessio Nicolini:

Personalmente ho avuto l’opportunità di prendere parte per la prima volta al primo gruppo dove avevamo la supervisione di Zago Sensei e Murata Sensei, quest’ultimo con l’onere di tenere le fila del seminario.

Come abbiamo ripetuto più volte, Takuya Murata è una risorsa importantissima della nostra federazione, sotto tantissimi punti di vista.
Partiamo da quelli più ovvi: conosce il Kendo, lo sa praticare ottimamente e conosce quello che si cela dietro i termini della sua lingua madre, il giapponese appunto.
I meno ovvi sono invece la capacità di spiegare in modo inequivocabile quanto sopra grazie ad una didattica adatta a noi “non giapponesi” e con una padronanza della lingua invidiabile.

Ma andiamo a vedere su cosa si è lavorato sabato…

La giornata è stata suddivisa concentrando la mattinata su un’emergenza. Proprio così, avete letto bene.
Murata Sensei ha introdotto il seminario con “I maestri giapponesi concordano sul fatto che siamo carenti su Do-uchi”.
L’accento è stato posto prima di tutto sull’hasuji facendo molta, moltissima attenzione sull’inclinazione dello shinai prima e dopo l’impatto.

 

hasuji kendo

La presenza di Lorenzo Zago, arbitro internazionale di primo piano, ha contribuito a comprendere ancor di più come mai alcune esecuzioni che possono apparire come colpi validi, in realtà non lo sono in quanto il percorso fatto dalla nostra spada è incoerente con la direzione del taglio (e quindi dello tsuru dello shinai).
Ad esempio, il più delle volte la lama è parallela al terreno ma il movimento con cui è stato portato il colpo è diagonale.

Dopo aver praticato con cura su quest’aspetto, abbiamo poi applicato la tecnica in situazione più complicate come men-nuki-do o men-kaeshi-do, sia con okuri-ashi che con fumikomi.
Murata Sensei, proprio durante la spiegazione di Kaeshi do ha insistito sul cercare di riconsegnare quanto prima tutta l’energia ricevuta dal men dell’avversario.
Prendere l’energia dal men prima che questa venga esaurita, riconsegnarla di fatto con Do-uchi immaginando nel punto della “parata” un fulcro, come ad esempio un chiodo.

Un altro focus è stato poi posto sul percorso “disegnato” dalla punta dello shinai. Nel colpire Do-uchi molti di noi facevano un ampio movimento che portava la punta dietro la linea del corpo, con il risultato che oltre ad essere lenti, quindi inefficaci sul nuki o kaeshi, colpivano do orizzontalmente e non in diagonale.

Oltre al corretto movimento delle braccia e polsi abbiamo quindi approfondito l’uso delle anche affinché l’impatto sul bersaglio fosse nel fianco
del do e non frontale, condizione essenziale per yuko datotsu.

Terminata la prima sessione di studio abbiamo avuto l’opportunità di praticare jigeiko fino alla pausa pranzo.

 

La sessione pomeridiana è stata invece oggetto di un argomento molto profondo, trattato dallo stesso Murata circa 6 anni fa a Castenaso durante unseminario tecnico culturale che alcuni ricordano illuminante.

Vi suggeriamo di andarlo a rileggere cliccando al seguente link:

kendonellemarche.wordpress.com/2010/05/05/sen/

Quel seminario gettava le basi per concetti molto profondi e che almeno per me ora hanno un sapore decisamente più ricco.

A causa del forte kiai degli altri gruppi siamo usciti a pochi metri dal palazzetto per ascoltare la lezione teorica di Murata Sensei sul sen.

Terminata la lezione abbiamo cercato di mettere in pratica il tutto con il bogu addosso.

Come preannunciato da Zago Sensei, il lavoro mentale è stato molto faticoso. Attuare il “non c’è fretta di morire” evitando di muoversi per primi ma mantenendo una forte pressione sull’avversario, da un lato ha consumato molte energie in ognuno di noi, ma ha aperto, almeno per il sottoscritto, una porta del Kendo davvero affascinante.

Ritengo che accanto alla quantità di sudore che il Kendo obbliga a versare nei nostri kendogi, una buona dose di concetti teorici aiutino a vivere questa meravigliosa disciplina con maggior consapevolezza.

Ringrazio quindi sia Takuya Murata che Lorenzo Zago per la bellissima giornata di Kendo donataci sabato.

Purtroppo non avendo potuto partecipare alla sessione di domenica sui Nihon Kendo no Kata so d’aver perso molto ma sarà sicuramente da stimolo per la prossima volta.

Ecco invece la parte relativa al gruppo 2° e 3° dan scritta da Marco Papetti:

Iniziamo dalla fine.
Nello spogliatoio non c’è la solita aria gioviale che si respira al termine di un seminario. Gli animi sono un po’ tesi, c’è chi in silenzio sta metabolizzando quello che è appena successo, c’è chi non riesce a contenere la propria delusione e la manifesta in maniera più o meno consona al nostro ambiente. Si, delusione. Perché malgrado quanto siamo soliti raccontarci a proposito degli esami, a proposito di quella famosa birra che va stappata in compagnia sia in caso di successo che di insuccesso, a proposito di questo successo che poi non dovrebbe consistere nel “passare” un esame, ma nel tornare a casa con qualcosa in più. Malgrado tutto ciò, non superare una prova è sempre una delusione ed i numeri di questa sessione parlano chiaro: solo 7 promossi per sandan, yondan e godan.
Allora cercando di attingere fino alla fine da questa esperienza avvicino Lancini e Zago sensei, i maestri della commissione che meglio conosco e che un po’ mi conoscono, per capire bene cosa non è andato. Parliamo solo degli aspiranti sandan, che hanno registrato 3 promossi su 21. Con un enorme sforzo di sintesi quello che non è andato è stato: i più giovani hanno approcciato il jigeiko come se si trattasse di fare uchikomi, nei meno giovani mancava il kikentai. Ovviamente quanto da me riassunto lascia il tempo che trova, ognuno avrà bisogno di analizzare il proprio kendo, ma sono due appunti che certo non si addicono ad un sandan.
Torniamo un po’ indietro e siamo al seminario. C’è un po’ d’ansia nell’aria, ma si respira di certo un’altra atmosfera, quella consueta dei giorni di pratica. Sono nel gruppo centrale guidato da tre sensei nanadan molto diversi tra loro: Pomero, Bolognesi e Amoruso. Non ho citato la diversità tra i maestri a caso, ma proprio proprio perché è stata un’indicazione di Walter Pomero quella di saper riconoscere le particolarità di ogni praticante di Kendo, di voler apprendere da tutti e di riuscire ad applicare alla propria pratica quanto è utile per ognuno di noi, in base alla propria personalità, alla propria fisicità e a quant’altro costituisca la propria unicità.
La pratica dei due giorni si è svolta quindi sullo studio dei fondamentali, ma con un’attenzione particolare a dei dettagli: le direzioni dei tagli, il corretto movimento dei piedi, la postura. Amoruso sensei ha diretto lo studio dei kata, ci sarebbe stato molto da imparare dal maestro ma purtroppo il tempo a disposizione è stato breve per poter approfondire le sette forme. Capita spesso nei seminari e, vorrei dirlo, colpevoli sono anche i praticanti che non conoscendo a fondo l’argomento fanno si che in questi seminari lo studio della sequenza sia sempre anteposto a quello dei dettagli. Un’ammonizione in tal senso, se pur con bonarietà, ci è stata data anche dai maestri. Estremamente interessante infine è stata una prova d’esame per il sandan ed una per lo yondan a cui hanno preso parte delle coppie di praticanti. La volontà del maestro era quella di illustrare i criteri di valutazione della commissione, riguardo l’aspetto tecnico, l’attitudine ed il mondo di affrontare un esame. Visto poi l’esito della prova, forse approfondire questo punto sarà utile anche per la prossima occasione… In ogni seminario non possono mancare i Jigeiko che chiudono ogni sessione di pratica, visto il numero di praticanti quest’anno il ruolo di motodachi era affidato ai nanadan ed ai rokudan. Dopo anni che ricevo le stesse osservazioni, questa volta i consigli avuti sono stati diversi. Una piccola soddisfazione e qualcosa di nuovo su cui lavorare!
Da Porto San Giorgio, per quella che non può che essere ogni volta una grande esperienza, eravamo io (Marco) e Laura. Torniamo a casa con molto da fare e tanto da trasmettere ai nostri compagni di pratica.

Rinnoviamo infine le nostre congratulazioni ai nuovi gradi shogo premiati sabato al termine del seminario.

credits - Confederazione Italiana Kendo

credits – Confederazione Italiana Kendo


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Stage CIK (Emilia Romagna) per mudan – Takuya Murata Sensei

 

“CHI SI MUOVE PER PRIMO, MUORE”

Ancora adrenalinico per lo stage di Murata Sensei ed eccomi qui a riportarvi ciò, che nel mio piccolo, ho appreso da questa esperienza.

Non riuscirò ad esprimere a fondo ciò che è emerso dal seminario perché, per volontà del Sensei, gli insegnamenti possono e devono essere trasmessi oralmente, secondo la perfetta equazione di allievo-maestro.

Ad ogni modo farò del mio meglio.

Il seminario parte affrontando il tema Okuriashi per due ore buone (cosa c’è di meglio per imparare se non pratica pratica pratica) e nel pomeriggio Tenouchi.

La profondità con cui Murata Sensei affronta questi argomenti è affascinante.

Ogni dettaglio viene sviscerato per una comprensione diretta e inequivocabile.

I progressi sui passi ad esempio, dopo l’intera mattinata sono evidenti e tangibili tra tutti i partecipanti.

(Qui un mio piccolo pensiero: i temi trattati sono gli stessi che i Nostri amati Sempai ci ripetono ogni settimana, la differenza sostanziale sta nel fatto di aver praticato questi insegnamenti per diverse ore continuative. Un incentivo a praticare le basi anche fuori dal Dojo, questo credo si veramente utile per migliorare le nostre basi e di conseguenza migliorare nell arte del Kendo)

Prima di introdurvi i dettagli “tecnici” del seminario, desidero raccontarvi un particolare argomento che credo, nella mia immaturità da Kenshi, possa essere interessante anche per chi non è più mudan da qualche tempo.

credits - Giovanni Fresa

credits – Giovanni Fresa

GAN: “vedere con il cuore, ciò che l’occhio non vede”

Murata Sensei a questo punto spiega (con un italiano da far invidia a molti italiani) di “sentire” ciò che il nostro avversario vive nel suo Kamae. 

Usa i termini come “sentire il suo spirito e la sua psicologia” e aggiunge sorridendo: “Il primo che si muove, muore”.

Lascio a voi ogni riflessione.

Io mi sono fatto la mia.

Quello che mi sento di dir è che con il termine “spirito” e “psiche” intende far notare (a una mente occidentale) come il combattimento avvenga prima nel piano “eterico” per esprimersi poi sul piano fisico. 

Un Sensei disse: “vincere con lo spirito attraverso la tecnica”. 

Dobbiamo studiare le basi..sempre..ma è anche vero che questo aspetto fa parte del Kendo e per tanto va approfondito, magari personalmente anche al di fuori del dojo.

Ora condivido con voi un aspetto più tecnico del seminario, ciò che considero “le chicche” di Murata Sensei, almeno per noi mudan.

Partiamo dalle basi, i piedi.

Tallone sx all’esterno. Sentito e risentito è vero ma se vi ricordate di farlo SEMPRE la vostra guardia inizierà a riempirsi dal basso, garantendovi spostamenti di corpo, rapidi e precisi.

Aggiungo gamba sx sempre pronta, NON PIEGATELA MAI. Soprattutto quando siete in motodachi.

Ginocchio dx piegato (ma che non sorpassi la punta del piede) pronto per essere “spedito” dal piede sx in avanti. NON alzate il piede. MAI, rischiate di battere il tallone e romperlo in fumikomiashi.

Sonkyo.

“Scendete insieme al vostro avversario, dovete “comunicare”

“Quando Vi abbassate non vi sedete, dovete essere come un felino che si abbassa per attaccare la preda”

“Quando vi alzate, dovete essere sempre pieni sulla gamba sx”.

A buon intenditore poche parole.

Baricentro (tanden).

“Deve puntare verso il basso, SEMPRE”.

” Se alzate il piede e di conseguenza il ginocchio dx alzerete anche il baricentro e la vostra intenzione andrà in alto e non in avanti disperdendo energia”.

Braccia.

“Il gomito dx deve scendere e la parte interna al gomito deve guardare il cielo, così la spalla dx sarà libera e voi non sarete rigidi durante il taglio. Lasciare le spalle rilassate ( piccola nota, noi occidentali abbiamo un concetto diverso di rilassato a dispetto degli orientali, loro per rilassato intendono un concetto che rappresenta l’assenza di tensioni muscolari e la presenza di “pienezza”) vi permetterà di essere rapidi e di maneggiare nel modo giusto la spada”.

Altro aspetto interessante è il seguente, noi tagliamo andando in avanti per dare potenza e intenzionalità al colpo, ma come ha fatto notare Sensei, con una katana il taglio è sì in avanti ma nello stesso tempo viene “richiamato” verso di noi. Questo gesto ci riporta in guardia e se la gamba sx è piena siamo già  pronti per ripartire.

Mani.

“La spada la reggete con tre dita, le ultime. Il pollice tocca il medio lasciando “gioco”

Dovete formare una O con le dita e quel cerchio deve essere SEMPRE in direzione del vostro avversario durante un men, se la O guarda il cielo state tagliando con le braccia e non con la spada”.

Qui inserisco un altro concetto di Murata Sensei, cercherò di spiegarvelo nel modo più chiaro possibile.

La velocità del kensen (che nella katana è più piccolo rispetto alla shinai) deve essere più rapida rispetto al movimento delle braccia. Deve arrivare prima e per farlo deve esserci gioco tra le mani. Non deve esserci tensione. Un impugnatura si salda ma non rigida.

Ultima, ma non meno importante è il ruolo del motodachi nel kirikaeshi.

Chi riceve para i colpi “tagliando” la spada del compagno, avendo premura di tenere la shinai all’altezza delle tempie costringendo l’altro ad allungare bene le braccia e colpire alla testa. 

Anche i passi del motodachi devono essere pieni e pronti per attaccare (chiaramente non si attacca, ma l’atteggiamento mentale e strutturale deve mantenersi saldo al momento presente).

Concludendo vi dico che ciò che ho potuto apprendere dal seminario, oltre alle parti più tecniche, è ancora una volta la profondità del Kendo e della cultura giapponese.

Ogni dettaglio ha una sua intensità, riceverli da un Maestro li rende illuminati. 

Buona pratica
Alan de Paola

IKENDENSHIN A.S.D.

www.kendopesaro.it

***  *** ***

Vi ricordiamo che il prossimo 19, 20 e 21 Febbraio si terrà a Gradara il’8° edizione de “Il Trofeo dell’Adriatico “.

Il programma completo al seguente link

trofeodelladriatico.wordpress.com/programma/


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Lo Stage CIK

  English version

Crediamo che “Lo stage CIK” sia il titolo migliore per questo articolo.

Il tradizionale stage federale di Giugno ha sempre visto la presenza di almeno due Maestri giapponesi come guide del seminario e delle commissioni d’esame.

Con il weekend scorso la federazione ha invece assegnato entrambi i compiti ai suoi 7°dan:

Zago Lorenzo

Lancini  Livio

Murata Takuya

Moretti Gianfranco

Pomero Walter

Bolognesi Arialdo

credits – Sarah Bertozzi

credits – Sarah Bertozzi

Le pratica delle due giornate di Kendo è stata organizzata suddividendo i kenshi presenti a Modena in tre gruppi seguiti da tre coppie d’insegnanti.

Bolognesi e Pomero per praticanti fino al 2° dan, Moretti e Murata per kenshi 3° dan ed infine dal 4° dan in poi nel gruppo guidato da Lancini e Zago.

Lo stage che ho personalmente vissuto da vicino è stato quello curato da Murata Takuya, coadiuvato dal Presidente Moretti Gianfranco, che abbiamo personalmente rigranziato per l’intervista concessaci e pubblicata in due puntate qui e qui.

Nel rivedere Murata Sensei torna vivo in me il bellissimo ricordo del 1° seminario tecnico culturale in cui lo stesso Murata (al tempo 6°dan) assieme a Livio Lancini, illustrarono il concetto di SEN e l’enorme universo che vive dietro quelle tre lettere… Un seminario memorabile il cui racconto lo trovate qui e che vi confessiamo siamo soliti rileggere regolarmente.

Anche per questo racconto, come per lo stage sul SEN, cercheremo in punta di piedi di raccontare quello che abbiamo vissuto in questi due giorni.

La partenza del seminario è con i suburi, facendo molta, moltissima attenzione sul timing. Se in alcuni casi questo tipo di esercizio viene usato come fase di riscaldamento per i muscoli più sollecitati nel keiko, sabato è stato invece sottolineato quanto sia importante l’esecuzione del taglio subito dopo il comando del Maestro.

“Pensate che il mio comando sia il men dell’avversario”. Con questa semplice spiegazione l’intera fase dei suburi ha immediatamente assunto un sapore diverso.  Non un ritmo cadenzato ma veri e propri fendenti!

La seconda fase dell’allenamento di sabato mattina è stata concentrata sui kata, in particolare il primo. Il più difficile. Nel praticare Kendo spesso si ha la sensazione di vedere la parte dei kata e quella in bogu come due realtà legate solo per concetti astratti, in alcuni casi filosofici. Questo è parzialmente vero.

Nel rivedere e cercare di migliorare la nostra pratica dei kata, Murata Sensei non ha esitato a sottolineare sempre con dovizia di dettagli tecnici e culturali quanto il mondo del bokuto e quello dello shinai siano così vicini.

Considerando che l’intero stage era effettivamente mirato alla miglior preparazione possibile per gli esami di domenica, non sono mancati di certo i richiami ai requisiti necessari per il superamento del grado.

Se il taglio nel suburi doveva essere eseguito pensandolo come un controattacco, lo stesso doveva a maggior ragione avvenire nei kata: shi-dachi, nel rispondere all’attacco di uchi-dachi, deve immediatamente chiudere l’azione. Il M°Moretti ha inserito una nota davvero significativa che vogliamo condividere riassumendo brutalmente il concetto così: un buon kata lo si ascolta senza vederlo. Se il kiai “To” di shi-dachi non è una pronta risposta al kiai “Ya” di uchi-dachi, possiamo dire con certezza che non è stato ben eseguito.

Tantissime sono state poi le annotazioni fatte kata dopo kata, su moltissimi dettagli. Per non parlare poi di storia vera e propria, del percorso che il kendo, inteso come arte, ha vissuto per generare le 10 forme che pratichiamo ai giorni nostri. La profondissima sintesi delle oltre 150 scuole di spada giapponese, cercando di racchiudere quanti più elementi in modo di poterle rappresentare tutte, deve responsabilizzarci su quanto sia importante la corretta esecuzione nella loro interezza, Non solo forma, ma anche una tradizione da rispettare profondamente in ogni dettaglio, senza lasciare nulla al caso. Con consapevolezza.

Dopo aver provato i primi 7 kata, indossiamo il bogu ed entriamo nel mondo dello shinai.

A parte il gran caldo nell’indossare il bogu a Giugno, non si nota un’enorme differenza tra la pratica con bokuto e quella con shinai, quasi a conferma che il mondo dei suburi, dei kata e del keiko in bogu sono magicamente elementi presenti in un unico contenitore.

Il come preparare la base per questo tipo di approccio è come sempre nella parte inferiore del corpo.

Se qualcuno aveva infatti ancora dei dubbi sull’importanza dell’uso delle gambe per poter esprimere un buon kendo, ha avuto modo di capire quanto il movimento corretto delle gambe, ma soprattutto delle anche, sia una condizione basilare.

L’uso della gamba sinistra finalizzato a costruire il riferimento per un ma-ai corretto a seconda del tipo d’azione che si vuol costruire.

Non cadere quindi nel “tranello” che la distanza tra noi e l’avversario sia tra i due men, ma metabolizzare il fatto che la vera distanza è tra il nostro piede sinistro e quello del nostro compagno.

Non scaricare il peso del corpo sul piede destro così da esser più dinamici possibile.

Avere l’intera gamba sinistra ben distesa, non flessa e non bloccata.

Pensare ad okuri-ashi come un movimento di un unico tempo.

E tanto altro…

Dopo aver costruito una buona base fisica, con gambe ed anche pronte, si è iniziato a lavorare sugli arti superiori, sull’eseguire il caricamento del colpo affinchè il nostro shinai non si distaccasse da quello del nostro avversario od al massimo solo nell’ultimissima fase del movimento. E’ qui che il tema ricorrente dell’intero seminario s’inizia a far largo. La condizione imprescindibile per un kenshi 4°dan è voler a tutti i costi comunicare con il compagno/avversario anche per mezzo dello shinai. Saper ascoltare attentamente quello che “prova” il kendoka che abbiamo di fronte, scuotere in lui delle reazioni attraverso un seme forte, non esclusivamente fisico.

Il livello d’attenzione che il gruppo riversa nelle parole di Murata e Moretti è altissimo.

Nel programma generale dello stage, rientrava anche il mawarigeiko all’interno di ognuno dei tre gruppi. Uno dei veri punti di forza dell’intero seminario. Il potersi confrontare in jigeiko con compagni di un livello non troppo distante dal nostro, mettendoci in condizione di mettere in pratica tutti i suggerimenti avuti nel corso dello stage, è stato molto utile, anche in vista dell’esame.

La giornata di sabato si è conclusa con un jigeiko libero dove Maestri 6° e 7° dan fungevano da motodachi per tutti i presenti allo stage.

Tra l’attesa in fila per poter fare almeno un paio di jigeiko con i Maestri e sfruttare il tempo a disposizione cercando praticanti disponibili per avere quante più opportunità di jigeiko possibile, giunge al termine la primo giornata del weekend.

I feedback a fine stage, i commenti negli spogliatoi e gli sguardi che vediamo tra i vari presenti fanno traspirare una piacevole soddisfazione, ma siamo solo a metà!

Ci aspetta un’altra intensa giornata domenicale di kendo…

Gli impegni familiari mi costringono a rientrare a casa immediatamente, e nel rientro con Davide concordiamo sul fatto che sono tantissimi gli aspetti positivi di questa prima parte del seminario.

Domenica mattina si riprende dai kata ed in particolare dalle tre forme con kodachi. Alcuni di noi non le conoscono bene, e quindi Murata e Moretti devono mettere in campo tutte le loro capacità didattiche, di sintesi e di “pronto soccorso” per far sì che almeno coloro che si sottoporrano alla commissione d’esame abbiano i requisiti minimi per il superamento del grado.

Anche qui non mancano di certo gli elementi per vivere la pratica con bokuto con spirito pieno e ricco d’attenzione.

Il M° Moretti ed il M°Murata concordano sul fatto che è molto più utile evitare la pausa prevista da programma dopo i kata a favore invece di prove d’esame tra i presenti. Siamo tutti entusiasti della scelta!

La voglia di sfruttare al meglio quest’opportunità è tale che in pochissimo tempo tutti coloro che devono sostenere l’esame nel pomeriggio trovano un compagno per potersi sottoporre a questo test.

Le raccomandazioni sono pochissime, ma di una chiarezza lampante. Massima attenzione per l’etichetta, in particolar modo il saluto. Oltre ad assicurarsi di essere vestiti in modo impeccabile, viene posta altissima attenzione al rei-ho. Se non si entra in contatto con il nostro compagno sin dal saluto iniziale, è inutile proseguire con il jigeiko. Si è già bocciati. Riguardo invece ai jigeiko, si torna sull’argomento centrale, per non dire centralissimo, di questo weekend. Entrare in contatto con chi abbiamo di fronte. Il 4° dan è la porta per un kendo che va oltre la tecnica. Questa deve ovviamente rimanere! A tutto ciò che si è appreso finora dal punto di vista tecnico va aggiunto un approccio mentale e spirituale che porta a costruire l’azione in modo attivo. Non attaccare mai nella speranza di raccogliere nell’azione che si sta per compiere tutte le condizioni di yuko-datotsu, ma creare l’opportunità. Far emergere questa ricerca nel modo più chiaro possibile. Anche il ridurre il numero di azioni da eseguire è un elemento da non sottovalutare. Attaccare a ripetizione può essere spesso un segno che denota scarsa disponibilità al dialogo.

Arriva il momento del jigeiko finale.

Noto con profondo piacere il desiderio di tutti i motodachi di volersi concedere a quanti più kenshi possibile, anche a costo di ridurre la durata di ogni jigeiko.

E’ caldo, ma la stanchezza lascia il posto alla voglia di non sprecare neanche un secondo del tempo che abbiamo a disposizione. Soprattutto perchè si ha la consapevolezza che siamo quasi alla fine. Ed allora, dopo un rapido sguardo all’orologio, ci si rende conto che non c’è tempo per aspettare il proprio turno in fila e ci si butta in mischia con altri praticanti. Fino allo scoccare dell’ultimo secondo delle 13:00.

E’ finito lo stage.

Ci togliamo il men e Livio Lancini, a nome di tutti e sei gli insegnanti,  si alza in piedi per ringraziare i tanti presenti.

In quel preciso istante parte un applauso spontaneo, un lunghissimo applauso che arriva al cuore di tutti.

Si rompe l’equilibrio tra forma e sostanza.

Da popolo mediterraneo quale siamo, quando ci troviamo ad esprimere la gratitudine col cuore lo facciamo in modo evidente, quasi per poter avere la certezza che il senso di riconoscenza arrivi in modo inequivocabile.

Senza nemmeno pensare lontanamente che il kendo italiano possa fare a meno di guide provenienti dal Giappone, credo di poter dire a nomi di tanti che un’occasione di portata nazionale in cui il Kendo viene tramandato in modo più vicino alla nostro metodo inconscio ed alla nostra tradizione di apprendimento, è sicuramente un’esperienza da ripetere.

Non so quando o con quale cadenza, ma da semplice praticante quale sono, credo sia un aspetto che va almeno considerato.

Che dire poi delle sessioni d’esame…

Davide, il mio compagno di quest’avventura, ha superato brillantemente l’esame di 3° dan consolidando quindi le fondamenta del nostro dojo.

http://ikendenshin.wordpress.com/2014/06/09/3-dan-modena/

Alcuni amici superano gli esami ed altri purtroppo no, ma vogliamo chiudere questo racconto con una foto che a nostro avviso racchiude appieno lo spirito presente in questi due giorni di Kendo.

Lo stage CIK per me è stato questo. E per voi?