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Con questo post iniziamo (almeno questa è la nostra intenzione) la pubblicazione di una serie di interviste a personaggi di spicco del kendo italiano. Ci sembra una cosa positiva e nuova provare a far conoscere il kendo attraverso le esperienze, i racconti e gli insegnamenti di coloro che ne rappresentano l’esempio più alto in Italia.
In occasione dell’imminente inizio del 14° campionato mondiale di kendo (domani iniziano gli individuali maschili), come augurio e stimolo, ci è sembrato giusto iniziare con un’intervista ad Angela Papaccio. Per chi si interessa un po’ di kendo è superfluo dire chi è e che cosa rappresenta Angela Papaccio in Italia, per tutti gli altri posso dire che si tratta di uno dei personaggi più significativi (e simpatici) del kendo moderno in Italia. Sei volte campionessa Italiana (di cui 5 negli ultimi sei anni), atleta di punta della nazionale italiana femminile, il presente e il futuro del kendo in Italia.

Ci puoi raccontare il tuo primo approccio al kendo? Quando hai iniziato e cos’è che ti ha spinta a praticare questa arte?
Ho iniziato a praticare kendo a 22 anni dopo tanti anni di soli sport occidentali a livello agonistico ed in particolare mi ha spinta l’idea che oltre l’aspetto puramente sportivo dietro alla pratica di una disciplina così antica vi fosse una ricerca interiore e culturale, insomma un approccio totalmente nuovo al modo di fare “sport”. Il mio primo incontro vero e proprio con la pratica è stato abbastanza sconvolgente… devo dire che mi ha colpita in particolar modo la “ristrutturazione fisica” cui un corpo allenato ai nostri sport deve sottostare: imparare a camminare (nel vero senso della parola), l’utilizzo della muscolatura ed infine il modo di relazionarsi in palestra tra i praticanti. Fin dalla prima lezione ho percepito che sarebbe stata un’impresa ardua e questo mi ha stimolata moltissimo.
Quali sono stati nel tempo e quali sono ora i tuoi Maestri, i tuoi punti di riferimento?
Certamente il mio primo insegnante, Paolo Vanelli di Bologna insieme al collega Arturo Tagliavini di Carpi meritano una menzione speciale, loro mi hanno insegnato proprio i primi passi. Però, senza nulla togliere all loro impegno, i miei riferimenti sono due: il mio primo Maestro giapponese, Nishino Goro 8°dan di Kochi ed il mio attuale Maestro e riferimento principale, Sumi Masatake 8°dan di Fukuoka. A loro devo tutto anche il mio spirito!
Dal passato al presente. Quante volte a settimana ti alleni? Puoi illustrarci un tuo allenamento standard? In occasione di gare fai una preparazione particolare? C’è differenza tra un allenamento classico e un allenamento finalizzato alle gare?
Mi alleno tre volte la settimana, di recente sono arrivata a 4 con l’apertura di un nuovo corso fuori Firenze, ma poiché il livello del nuovo corso è base diciamo 3 volte.
Un allenamento standard nel nostro club inizia con il riscaldamento circa 8 minuti, facciamo subito il saluto e poi suburi per circa 20 minuti. Poi mettiamo il bogu e facciamo kihon tecniche singole e doppie con grande caricamento e poi ripetiamo con caricamento piccolo. Infine kirigaeshi e/o Uchikomi geiko. Generalmente finiamo con 20 minuti di jigeiko. Ovviamente all’interno del kihon a seconda dei livelli dei praticanti presenti si studia le varie tecniche Ohji waza, hiki waza etc., ma idealmente se i praticanti sono costanti il kihon evolve con loro.
Per le gare non cambio molto, inserisco un lavoro più atletico e un maggior carico di esercizi “faticosi”, piccole variazioni su kirigaeshi e kakarigeiko con lo scopo di lavorare sull’elasticità del movimento e sciogliere bene la muscolatura. Soprattutto lavoro sulla testa e la corretta mentalità necessaria per affrontare una competizione. Ovviamente inserisco qualche shiai al posto di jigeiko, ma solo poco prima della competizione.
Differenza tra allenamento classico o da gare? Nella pratica vera e propria non molta, quel che deve invece cambiare è la mentalità, lo spirito e la concentrazione. Durante l’anno si pratica tanto e spesso ci sono le serate dove ci pare di fare tutto male, diciamo che la preparazione ad una gara è una scusa per arrivare in palestra con lo scopo di sconfiggere per primi noi stessi anche in quelle serate storte.
Ci puoi raccontare uno degli allenamenti che la nazionale sta facendo in questo periodo di preparazione ai mondiali?
Oddio! Sto male al pensiero… Dunque, il riscaldamento già è parecchio intenso circa 15/20 minuti tra corsa, saltelli e allunghi. Il suburi dipende da chi lo conduce, proprio di recente il nostro Coach Pomero ha inserito un suburi estremamente duro per velocità e tecnica. Poi mettiamo il men e qui inizia il kirigaeshi: infinite serie di kirigaeshi con varianti men/men-do/do e tsuki do/do-do/do. Poi kihon varie tecniche singole e doppie con grande e piccolo caricamento, fino ad arrivare alle ohji waza a piacere anche qua in lunghissime successioni – la difficoltà dell’allenamento, oltre l’oggettivo sforzo fisico, nasce dall’esigenza di esercitare sempre e correttamente yuko-datotsu – a questo punto è passata circa 1 ora e mezzo e facciamo un piccolo break. In quest’ultimo anno abbiamo poi inserito moltissimo jigeiko, spesso con motodachi prestabiliti dal coach che dovevano tener testa a tutti i selezionati senza sosta (di norma circa 30 minuti) ed infine divisi in gruppi abbiamo fatto shiai ippon shobu, chi vince rimane in posizione e cerca di resistere il più a lungo possibile battendo tutti gli avversari. In generale le cose che facciamo sono poi sempre le stesse il coach di volta in volta cambia il metodo di esecuzione per finalizzare il lavoro in modo diverso. In chiusura facciamo una sorta di tutti contro tutti mischiando uomini e donne, sempre a coppie e sempre ippon shobu, finché non ne restano solo due che si affrontano per la vittoria finale.
Spesso si sente parlare di kendo “da gara” in modo spregiativo. Come se l’arte del kendo potesse essere intaccata da un estremo agonismo. Per altri versi il kendo è, ancora, una disciplina in cui l’aspetto sportivo è subordinato all’arte (basti guardare i requisiti per yuko datotsu). Che ne pensi?
Ho due risposte, una politicamente corretta ed una personale… scegli tu quale pubblicare o se vuoi entrambe.
La mia risposta personale: il kendo da gara NON esiste esistono solo persone che fanno kendo e vincono anche le gare e coloro che non vincendo mai una gara si chiedono se stanno davvero facendo kendo e poiché non gradiscono che questa domanda gli “picchi” in testa decidono di porsi il problema di questa differenza per cercarsi un alibi.
La risposta politicamente corretta: i giapponesi vivono un dilemma in questi ultimi anni, come incentivare i praticanti di kendo quando sono in costante competizione con sport più alla moda e popolari? La risposta più facile è stata stimolare i giovani con le gare che uniscono i praticanti come squadra e fortificano il carattere per l’intensità emotiva che richiedono. D’altra parte questo ha portato ad una naturale involuzione estetica a favore del risultato ed all’abbandono di molti praticanti in età post universitaria. Da qui, dunque, se vogliamo, la nascita della dicotomia kendo e kendo “da gara” che in quest’ottica ha tutta un’altra valenza. Infatti come mi ha ben fatto capire il mio Maestro, sta all’insegnante insegnare il miglior kendo possibile, che comprende anche le competizioni, senza le quali la crescita caratteriale di un individuo è incompleta, così come il suo kendo. La competizione è quell’unico attimo cruciale nell’esperienza di un kendoka dove si percepisce la paura della morte, della sconfitta, che altrimenti ristretta al solo jigeiko sarebbe un vaghissimo sentire destinato ad estinguersi nel mero gesto estetico.
A che livello è, secondo te, il kendo Italiano in ambito internazionale? Quali sono le differenze rispetto alle nazioni più forti?
Il livello medio è piuttosto interessante, abbiamo ottimi sesti e settimi dan che già da tempo sono invitati in giro per l’Europa ad insegnare il loro kendo e quindi il kendo italiano, possiamo essere sereni sulle potenzialità ulteriori del nostro sviluppo interno. Non credo che siano tante le nazioni più forti di noi, forse nazionali più forti ma nazioni non ne vedo tante che sanno fare quel che la CIK ha fatto in questi anni… ma anche sulle nazionali più forti di noi avrei da dirne… grazie mille
Angela Papaccio
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