Kendo nelle Marche


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Butokuden

Ci stiamo avvicinando alla 110° edizione del Kyoto Taikai, un evento di primissimo piano nel panorama del budo.

Nel blog abbiamo cercato di pubblicare tutto il materiale che negli anni abbiamo trovato in rete. Faremo lo stesso quest’anno, ma per capire al meglio quest’evento v’invitiamo a leggere questo post di Kenshi 247.

credits – Oscar Ibañez Perez


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IL MIO I° DAN

Oggi pubblichiamo il diario di una giornata molto intensa. Anzi, oseremmo dire mesi…

Da queste parti consideriamo il raggiungimento di un risultato, sia esso un esame superato che una vittoria in un trofeo, come risultato di un gruppo, oltre ovviamente del singolo. Nel kendo si cresce assieme agli altri, mai da soli.

Ma concedeteci di dire che per Filippo, la parte individuale ha una componente particolarmente importante. Solo chi l’ha visto allenarsi negli ultimi mesi, sa quanta dedizione ha avuto alla preparazione di quest’esame.

E’ il primo esaminando da quando ci pratichiamo sotto l’insegna IKENDENSHIN e non possiamo che essere particolarmente felici.

*** *** ***

L’attimo in cui sono entrato in macchina, alle 04:00 di domenica mattina, ho pensato a quando cominciai a praticare Kendo tre anni fa: provai per caso, trascinato da un amico in comune con il mio sempai Alessio, e adesso mi trovavo ad andare a Roma per sostenere l’esame da primo dan. Questione di un attimo e svaniscono i ricordi, giro di chiave e si parte.

Il viaggio dura circa 4 ore e alle 08:10 sono posteggiato in una via del quartiere Trieste a Roma, a poca distanza dal dojo dell’ARK (Accademia Romana Kendo) che ospita la sessione di esami. Considerato l’ampio anticipo (l’inzio delle operazioni di registrazione sarebbe cominciata alla 10:30) mi concedo una colazione in un bar, godendomi lo spettacolo di un mausoleo romano del II sec.d.C. che si ergeva solenne e solitario tra una selva di palazzoni moderni: Roma, come al solito, non ha mancato di stupirmi!

Mi avvio quindi verso il dojo e alle 09:10 entro, rassegnato ad attendere un ora in perfetta solitudine, quando invece alle 09:20 vedo spuntare i visi familiari di Raffaele Venturini e Massimo Cicchetti, amici del dojo di Rimini, che mi comunicano un fuori programma deciso la sera precedente: dalle 09:30 alle 10:30 ci sarebbe stata un’ora di allenamento focalizzata sui kata. L’anticipo che pareva destinato ad un lungo tempo morto si era trasformato in una inaspettata occasione!

Cominciamo quindi l’allenamento sui kata guidati dal M°Rigolio il quale, complice il numero ridotto di praticanti, ha la possibilità di seguire abbastanza agevolmente le varie coppie uchitachi/shitachi; al sottoscritto, non saprei se per simpatia o per disperazione, dedica qualche attenzione in più, correggendomi spesso e insistendo sulla corretta sequenza piedi/braccia nell’esecuzione del terzo kata. L’ora passa veloce ed è già tempo di procedere alla registrazione all’esame e alla consegna dei compiti scritti per poi subito cominciare le due ore di allenamento pre-esame. L’allenamento, sempre condotto dal M°Rigolio è tecnico, ripassa i fondamentali, mostra cose nuove e corregge gesti che parevano ormai acquisiti e consolidati, a perfetta dimostrazione di quanto nel Kendo si possa e si debba costantemente migliorare ogni più piccolo gesto. Ho Apprezzato il modo di condurre del M°Rigolio, sempre calmo, chiaro e comprensibile.

L’allenamento procede e dopo un giro finale di ji-geiko con i vari maestri presenti facciamo una pausa per poi entrare direttamente nel clima pre-esame.

Sono una persona emotiva e  pensavo che avrei temuto il  momento, ma, forse complice la stanchezza della levataccia mattutina, mi sento stranamente calmo e rilassato , faccio battute con i compagni di pratica e ho modo di salutare a nome di tutto il dojo Ikendenshin l’amico Dado Brivio, che mi tranquillizza ulteriormente dandomi alcuni consigli.

Ok, mi hanno dato il numero, numero 110, sono nella penultima pull, si comincia. Guardo scorrere le numerose sessioni di esame per il I kyu e quando l’ultima ha ancora luogo, noi esaminandi per il I dan riceviamo l’ordine di indossare il men. Vedo attraverso il men gane gli esami dei miei compagni ed all’interno del men mi sento completamente solo, percepisco forte il sibilo del mio respiro mentre i kiai che si susseguono mi giungono come suoni ovattati; il men è un ambiente intimo, una stanza dove raccogliere i pensieri, una finestra da dove poi guardare solo avanti; da qui, rilassato, assisto e attendo. “110 preparati!”  Ok, si va.

Saluto, sonkyo e si parte con kirikaeshi con me come motodachi. Dopo i primi 4 yoko-men il mio primo compagno si fa sopraffare dall’emozione e si blocca; rimaniamo così immobili per un tempo che sembra infinito, poi cerco di spezzare la situazione dicendogli attraverso il men: “cinque indietro” e riesco nell’intento facendogli completare l’esercizio. Dopo ji-geiko cambio di compagno e ora è il mio turno. Valutare la propria prestazione è sempre difficile, ma posso dire che non mi sentivo completamente soddisfatto, tanto che al momento dell’esposizione dei candidati promossi ho esitato alcuni minuti prima di risolvermi ad andare a vedere. Questo è stato il momento più duro: tra me e un foglio appeso alla parete c’erano le ore di allenamento, le parole, i consigli e le facce di chi mi ha sostenuto; c’erano le ore tolte alla famiglia, c’erano tutti i sacrifici e le ore di viaggio. Era tutto lì, ma mi decido e scorro i numeri: 110, 110, 110…c’è! Nessuna emozione, primo pensiero i kata, tanto che non riesco a godermi appieno gli esami per II dan che stanno avendo luogo in quegli istanti.

A differenza degli esami con armatura i kata sono rapidissimi e in rapida sequenza li eseguiamo e li eseguiamo tutti bene visto che alla fine risulteremo tutti promossi!

Non appena terminati gli esami ci comunicano che la palestra deve essere liberata entro un’ora, i tempi quindi si accelerano, le persone corrono qua e là, molti vanno subito a fare la doccia. Io rimango alcuni istanti seduto con il bokken fra le mani e non riesco bene a realizzare che da oggi sono I dan di Kendo: cerco di ricordare quando ho cominciato, perché l’ho fatto, cerco di rammentare tutte le sere passate al dojo e tutte le persone che hanno praticato con me, gli esami kyu, cerco di mettere insieme tre anni di pratica per poter comprendere cosa sono da oggi, ma riesco solo a sorridere, di quei sorrisi stanchi che si fanno dopo un lavoro venuto bene. Shinai a posto, bokken a posto, armatura a posto: domani si ricomincia.

Filippo Tonelli

…ed allora abbiamo festeggiato a dovere! 😉

http://ikendenshin.wordpress.com/2013/10/28/filippo-promosso/

PS:  a distanza di tempo è bello rileggere anche queste due riflessioni scritte anni fa da Alessio e Giulio

https://kendonellemarche.wordpress.com/2009/11/03/lessenza-del-1%C2%B0-dan-di-kendo/

https://kendonellemarche.wordpress.com/2009/11/03/lessenza-del-1%C2%B0-dan-di-kendo-2/


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WCG 2013

credits – Sportaccord Combat Games

E’ il giorno d’inizio del Kendo all’interno della manifestazione World Combat Games.

credits – Sportaccord Combat Games

I nostri atleti Mirial Livolsi e Giuseppe Giannetto rappresenteranno l’Italia in questo evento di portata mondiale.

http://www.worldcombatgames.com/en/news/425/Kendo-athletes-qualified-for-2013-World-Combat-Games

Il canale ufficiale dove poter seguire la diretta è il seguente.

http://www.youtube.com/watch?v=02kzi7kskxc

Cogliamo l’occasione per segnalarvi l’intervista che Alessio ha rilasciato a Radio Esmeralda per il progetto “Kendo a scuola” del nostro dojo Ikendenshin.

http://ikendenshin.wordpress.com/2013/10/21/in-radio/


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Racconto di una prima lezione di kyudo a Tokyo

Ciao a tutti i visitatori e i partecipanti al blog, sono Bettina, amica di Davide, e su suo invito scrivo qui la mia esperienza con il Kyudo, la splendida arte giapponese del tiro con l’arco.
Mi trovo a Tokyo da quasi un mese, sono partita un po’ allo sbaraglio ma carica di voglia di trovare un piccolissimo posto in questa città che amo. E mentre come una trottola impazzita percorro km su km a piedi e in metro per conoscere persone che qui sono riuscite ad aprire una loro attività, a restare per molti anni e a lavorare, cerco di ritagliarmi tempo anche per me, visitando parchi meravigliosi che lasciano senza fiato e piccoli templi nascosti fra i palazzi.

Tokyo Tower ©Bettina Giannini

Anni fa ho frequentato un corso di tiro con l’arco istintivo a Montegiardino, dietro Sanmarino. Ho seguito le lezioni per qualche anno e partecipato a numerose gare.
Si usano archi storici, ricurvi e longbow. Non ci sono mirini, bilancieri, gli archi sono in legno così come si preferirebbero le frecce, anche se in palestra per praticità usavamo quelle in carbonio, vista la facilità con cui quelle in legno si rompono. Ogni arco è fatto a mano da un artigiano, quindi ognuno tira diversamente da un altro, bisogna prenderci un po’ la mano, conoscerlo, e diciamo che non si “mira”esattamente, perchè è più un imparare a governare la propria arma e il proprio respiro. Non si hanno grandi punti di riferimento, e le gare si svolgono in boschi dove i terreni non aiutano, così come le condizioni climatiche o le sagome degli animali spesso nascoste dalla vegetazione.
Detto questo, non potevo essere qui in Giappone senza pensare al kyudo.
Volevo trovare qualcuno che fosse disposto a lasciarmi provare.
So che è diverso dal ricurvo che ho sempre utilizzato, ma forse come spirito molto più vicino al tiro con l’arco istintivo che non al tiro con l’arco che si vede alle olimpiadi, che a mio parere è al pari di un fucile…
Nonostante un stop iniziale, dovuto all’incontro con persone che non mi hanno dato neanche il tempo di esporre quello che cercavo, non mi sono data per vinta e ho visitato un negozio a Ootsuka (Yamanote line, stazione dopo Ikebukuro), Asahi Archery è il nome, dove ho trovato una gentilissima ragazza che parla inglese e che mi ha dato un volantino con mappa per raggiungere la vicinissima palestra dove sono andata a chiedere altre informazioni.
È una palestra credo comunale, non saprei riportare il nome perché il volantino è interamente in giapponese con troppi kanji per me!
Raggiungibile a piedi dalla stazione jr di Ootsuka in 10 minuti. Ha campo da calcio, da baseball ed all’interno vi è questo piccolo spazio dedicato al kyudo. Lezione di 3 ore, per 400¥, che sono circa 3€, affitto dell’arco 150¥, niente in pratica.
Nessuno parla inglese, e qui, ovunque, funziona che ti parlano in giapponese come se fosse la tua seconda lingua, quindi velocemente è senza preoccuparsi troppo se capisci una parola ogni mezz’ora.
A differenza del posto precedente (n.d.r.: vi fu una precedente disavventura in un altro dojo, dove fu praticamente buttata fuori 😀 ) tutti si sono rivelati immediatamente gentili e disponibili. Ad allenarsi c’erano 3 ragazze, 2 uomini e qualche donna. Un maestro e 2 o 3 maestre, difficile dirlo ma erano loro che aggiustavano, per così dire, le posizioni e i movimenti di chi era lì per tirare.

Dentro il Dojo ©Bettina Giannini

Mi hanno dato un arco e mi hanno insegnato come si impugna, mi hanno fatto vedere come e dove vanno posizionate le dita, e rispetto al ricurvo è completamente diverso: la mano che tiene l’arco non lo stringe saldamente come ero solita fare, ma si abbraccia l’impugnatura con delicatezza (che rispetto ai nostri storici è molto sottile), si appoggia l’arco sul finire del palmo della mano esattamente prima delle dita, i polpastrelli delle ultime tre dita (a partire dal mignolo) poggiano su una piccola porzione di arco, si chiude col pollice e l’indice rimane libero. Questo di primo acchito non rende la presa facile, certamente con la pratica sarà diverso, ma si ha la sensazione di non avere salda l’arma nelle mani. In realtà rende la presa moto bella da vedere, e permette all’arco, una volta scoccata la freccia, di oscillare e girarsi con movimento fluido e non secco.
Il caldo di questi giorni non aiuta perché personalmente avevo le mani perennemente sudaticce e sentivo scivolare la presa.
Sono stata fatta spostare nel momento in cui sono arrivati tutti i partecipanti alla lezione e ho potuto guardare l’intero svolgimento di un tiro, più e più volte.
È splendido, una danza, simmetria e disciplina. Durante le 8 forme che portano al tiro, ho visto i maestri correggere ogni minima cosa, testa appena bassa, freccia durante il saluto impugnata troppo indietro, pugno non posizionato bene sul fianco, gomito appena più alto…
Sembrava che correggessero un quadro. Si vedeva che alzavano e spostavano dove la simmetria o i parallelismi non erano perfetti. Senza dubbio l’importanza è focalizzata sulla forma e la “danza” che porta al tiro.
Un gruppo di 4 persone alla volta si posizionava per il tiro, ed è bellissimo vedere che uno alla volta, con pochi secondi di distanza, calcolati e precisi, si susseguono nelle forme per poi tirare. Mentre il primo si appresta a scoccare, il secondo sta per posizionarsi in tensione per il tiro, il terzo sta agganciando la freccia e il quarto prende solo posizione. Allo stesso modo, uno alla volta, finiscono. Fantastico.
La difficoltà maggiore per quel che mi riguarda, a parte sicuramente tutti i movimenti eleganti che portano al tiro e che ovviamente ho appena conosciuto, è tendere l’arco. Nel tiro istintivo ci vuole certo un po’ di forza per tendere l’arco, ma il braccio che lo tende puó scaricare per così dire lo sforzo sul polso e il gomito una volta che si è raggiunta la massima tensione.
La difficoltà che ho provato oggi è riuscire a tendere un arco (peraltro molto lungo e quindi quando si è sotto sforzo difficile tenerlo dritto e fermo se si è fuori allenamento) lontano dal petto e in alto, il tutto con posture che devono essere morbide e fluide. Il movimento principale, quello in cui si comincia ad aprire l’arma mi ha ricordato moltissimo la postura delle ballerine di danza classica, il classico congiungimento delle dita con le braccia che creano un ovale. In quella posizione è piuttosto difficile tendere la corda.
Anche solo il fatto di dover dare più spazio all’apertura dell’arco rende la cosa più complicata: nel tiro con l’arco istintivo la corda si tende fino all’angolo della bocca, si appoggiano letteralmente le dita che tendono la corda alla fine delle labbra. Questo permette anche di fermarsi qualche istante e spostarsi volendo.
Nel kyudo l’apertura è maggiore, l’arco è così lungo che non potrebbe essere altrimenti, questo significa che la mano che tende la corda arriva fino alla spalla senza toccarla, più difficile quindi sentire il punto perfetto e anche mantenere una posizione del gomito esatta (con la corda alla bocca viene abbastanza naturale avere il gomito parallelo a terra).
L’impugnatura stessa della corda è molto più difficile: nel nostro tiro con l’arco la corda viene tesa con indice, medio e anulare, incastrandola a mo’ di grilletto nella seconda falange, fra due dita insieme alla corda c’è la scocca della freccia. Nel kyudo i guantini di protezione sono estremamente più spessi dei nostri e la punta delle dita (in questo caso indice, medio e pollice) sono ulteriormente protetti da qualcosa di rigido come un guscio all’interno della pelle del guanto. Questo rende meno sensibili le dita, la presa della corda è affidata principalmente a una sorta di “callo” nella pelle del guanto, alla base del pollice, e le altre due dita semplicemente stringono sul pollice per non far scivolare via la corda.
Non si tiene la corda stretta fra le dita quindi, ma stretta nell’incavo del pollice.
Ci sono tante altre differenze, senza contare tutta la parte di forma e di movimenti che si unisce al tiro.
In generale è bellissimo, da vedere e immagino anche da eseguire correttamente! Mi hanno detto di tornare, spero non sia solo uno dei solito modi di fare stra-gentili che hanno qui, ma che abbiano realmente piacere di riavermi.
Credo fossero tutti piuttosto divertiti da questa occidentale spilungona che chissà come è finita in questa palestra fuori mano, le ragazze ridacchiavano quando vedevano i maestri affacendarsi a spiegarmi un po’ tutto con un giapponese che non capivo. Ed emettevano i loro gridolini classici di gioia e sorpresa quando mi vedevano provare a eseguire le posizioni e a tirare, è stata una bellissima esperienza e voglio sicuramente tornare.
L’aneddoto più divertente: il maestro, questo signore anziano, basso e con un po’ di gobba, mi ha seguito per una mezz’ora, era molto più serio e severo delle maestre (anche se poi quando sentiva le ragazze ridacchiare per come mi trattava, rideva anche lui di sè stesso), e mi parlava senza mai smettere. Non capivo nulla, cioè… finché mi faceva capire come spostare parti del corpo va bene, ma quando si scostava e parlava senza smettere non capivo cosa voleva che facessi. A un certo punto mi ha messo nella posizione per tirare, freccia incoccata, tesa al massimo, mani che sudavano, sentivo scivolare l’impugnatura, la corda stretta nel pollice senza sapere quanto avrei durato in quella posizione… E lui mi spostava un dito di un centimetro, e poi il gomito più parallelo a terra, il polso più morbido, e poi parlava parlava e borbottava e non sapevo cosa diceva, non smetteva più, voleva che cambiassi ancora qualcosa o che tirassi?? Alla fine ho scelto la seconda perché temevo che mi sarebbe esploso il colpo senza volere. Aaaahhh!!!! È impazzito! Mi ha sgridato non so in che modo nè perché, ha sbraitato e le ragazze ridacchiavano mentre io ero mortificatissima, ma mi stavano per cadere le braccia dopo 5 minuti che rimanevo ferma in tensione (vestita poi a sufficienza per coprire tutti i tatuaggi stavo morendo di caldo… Avete presente l’assordante rumore delle cicale dei cartoni animati che evoca il caldo? Ecco, uguale).