Kendo nelle Marche


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Lo Stage CIK

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Crediamo che “Lo stage CIK” sia il titolo migliore per questo articolo.

Il tradizionale stage federale di Giugno ha sempre visto la presenza di almeno due Maestri giapponesi come guide del seminario e delle commissioni d’esame.

Con il weekend scorso la federazione ha invece assegnato entrambi i compiti ai suoi 7°dan:

Zago Lorenzo

Lancini  Livio

Murata Takuya

Moretti Gianfranco

Pomero Walter

Bolognesi Arialdo

credits – Sarah Bertozzi

credits – Sarah Bertozzi

Le pratica delle due giornate di Kendo è stata organizzata suddividendo i kenshi presenti a Modena in tre gruppi seguiti da tre coppie d’insegnanti.

Bolognesi e Pomero per praticanti fino al 2° dan, Moretti e Murata per kenshi 3° dan ed infine dal 4° dan in poi nel gruppo guidato da Lancini e Zago.

Lo stage che ho personalmente vissuto da vicino è stato quello curato da Murata Takuya, coadiuvato dal Presidente Moretti Gianfranco, che abbiamo personalmente rigranziato per l’intervista concessaci e pubblicata in due puntate qui e qui.

Nel rivedere Murata Sensei torna vivo in me il bellissimo ricordo del 1° seminario tecnico culturale in cui lo stesso Murata (al tempo 6°dan) assieme a Livio Lancini, illustrarono il concetto di SEN e l’enorme universo che vive dietro quelle tre lettere… Un seminario memorabile il cui racconto lo trovate qui e che vi confessiamo siamo soliti rileggere regolarmente.

Anche per questo racconto, come per lo stage sul SEN, cercheremo in punta di piedi di raccontare quello che abbiamo vissuto in questi due giorni.

La partenza del seminario è con i suburi, facendo molta, moltissima attenzione sul timing. Se in alcuni casi questo tipo di esercizio viene usato come fase di riscaldamento per i muscoli più sollecitati nel keiko, sabato è stato invece sottolineato quanto sia importante l’esecuzione del taglio subito dopo il comando del Maestro.

“Pensate che il mio comando sia il men dell’avversario”. Con questa semplice spiegazione l’intera fase dei suburi ha immediatamente assunto un sapore diverso.  Non un ritmo cadenzato ma veri e propri fendenti!

La seconda fase dell’allenamento di sabato mattina è stata concentrata sui kata, in particolare il primo. Il più difficile. Nel praticare Kendo spesso si ha la sensazione di vedere la parte dei kata e quella in bogu come due realtà legate solo per concetti astratti, in alcuni casi filosofici. Questo è parzialmente vero.

Nel rivedere e cercare di migliorare la nostra pratica dei kata, Murata Sensei non ha esitato a sottolineare sempre con dovizia di dettagli tecnici e culturali quanto il mondo del bokuto e quello dello shinai siano così vicini.

Considerando che l’intero stage era effettivamente mirato alla miglior preparazione possibile per gli esami di domenica, non sono mancati di certo i richiami ai requisiti necessari per il superamento del grado.

Se il taglio nel suburi doveva essere eseguito pensandolo come un controattacco, lo stesso doveva a maggior ragione avvenire nei kata: shi-dachi, nel rispondere all’attacco di uchi-dachi, deve immediatamente chiudere l’azione. Il M°Moretti ha inserito una nota davvero significativa che vogliamo condividere riassumendo brutalmente il concetto così: un buon kata lo si ascolta senza vederlo. Se il kiai “To” di shi-dachi non è una pronta risposta al kiai “Ya” di uchi-dachi, possiamo dire con certezza che non è stato ben eseguito.

Tantissime sono state poi le annotazioni fatte kata dopo kata, su moltissimi dettagli. Per non parlare poi di storia vera e propria, del percorso che il kendo, inteso come arte, ha vissuto per generare le 10 forme che pratichiamo ai giorni nostri. La profondissima sintesi delle oltre 150 scuole di spada giapponese, cercando di racchiudere quanti più elementi in modo di poterle rappresentare tutte, deve responsabilizzarci su quanto sia importante la corretta esecuzione nella loro interezza, Non solo forma, ma anche una tradizione da rispettare profondamente in ogni dettaglio, senza lasciare nulla al caso. Con consapevolezza.

Dopo aver provato i primi 7 kata, indossiamo il bogu ed entriamo nel mondo dello shinai.

A parte il gran caldo nell’indossare il bogu a Giugno, non si nota un’enorme differenza tra la pratica con bokuto e quella con shinai, quasi a conferma che il mondo dei suburi, dei kata e del keiko in bogu sono magicamente elementi presenti in un unico contenitore.

Il come preparare la base per questo tipo di approccio è come sempre nella parte inferiore del corpo.

Se qualcuno aveva infatti ancora dei dubbi sull’importanza dell’uso delle gambe per poter esprimere un buon kendo, ha avuto modo di capire quanto il movimento corretto delle gambe, ma soprattutto delle anche, sia una condizione basilare.

L’uso della gamba sinistra finalizzato a costruire il riferimento per un ma-ai corretto a seconda del tipo d’azione che si vuol costruire.

Non cadere quindi nel “tranello” che la distanza tra noi e l’avversario sia tra i due men, ma metabolizzare il fatto che la vera distanza è tra il nostro piede sinistro e quello del nostro compagno.

Non scaricare il peso del corpo sul piede destro così da esser più dinamici possibile.

Avere l’intera gamba sinistra ben distesa, non flessa e non bloccata.

Pensare ad okuri-ashi come un movimento di un unico tempo.

E tanto altro…

Dopo aver costruito una buona base fisica, con gambe ed anche pronte, si è iniziato a lavorare sugli arti superiori, sull’eseguire il caricamento del colpo affinchè il nostro shinai non si distaccasse da quello del nostro avversario od al massimo solo nell’ultimissima fase del movimento. E’ qui che il tema ricorrente dell’intero seminario s’inizia a far largo. La condizione imprescindibile per un kenshi 4°dan è voler a tutti i costi comunicare con il compagno/avversario anche per mezzo dello shinai. Saper ascoltare attentamente quello che “prova” il kendoka che abbiamo di fronte, scuotere in lui delle reazioni attraverso un seme forte, non esclusivamente fisico.

Il livello d’attenzione che il gruppo riversa nelle parole di Murata e Moretti è altissimo.

Nel programma generale dello stage, rientrava anche il mawarigeiko all’interno di ognuno dei tre gruppi. Uno dei veri punti di forza dell’intero seminario. Il potersi confrontare in jigeiko con compagni di un livello non troppo distante dal nostro, mettendoci in condizione di mettere in pratica tutti i suggerimenti avuti nel corso dello stage, è stato molto utile, anche in vista dell’esame.

La giornata di sabato si è conclusa con un jigeiko libero dove Maestri 6° e 7° dan fungevano da motodachi per tutti i presenti allo stage.

Tra l’attesa in fila per poter fare almeno un paio di jigeiko con i Maestri e sfruttare il tempo a disposizione cercando praticanti disponibili per avere quante più opportunità di jigeiko possibile, giunge al termine la primo giornata del weekend.

I feedback a fine stage, i commenti negli spogliatoi e gli sguardi che vediamo tra i vari presenti fanno traspirare una piacevole soddisfazione, ma siamo solo a metà!

Ci aspetta un’altra intensa giornata domenicale di kendo…

Gli impegni familiari mi costringono a rientrare a casa immediatamente, e nel rientro con Davide concordiamo sul fatto che sono tantissimi gli aspetti positivi di questa prima parte del seminario.

Domenica mattina si riprende dai kata ed in particolare dalle tre forme con kodachi. Alcuni di noi non le conoscono bene, e quindi Murata e Moretti devono mettere in campo tutte le loro capacità didattiche, di sintesi e di “pronto soccorso” per far sì che almeno coloro che si sottoporrano alla commissione d’esame abbiano i requisiti minimi per il superamento del grado.

Anche qui non mancano di certo gli elementi per vivere la pratica con bokuto con spirito pieno e ricco d’attenzione.

Il M° Moretti ed il M°Murata concordano sul fatto che è molto più utile evitare la pausa prevista da programma dopo i kata a favore invece di prove d’esame tra i presenti. Siamo tutti entusiasti della scelta!

La voglia di sfruttare al meglio quest’opportunità è tale che in pochissimo tempo tutti coloro che devono sostenere l’esame nel pomeriggio trovano un compagno per potersi sottoporre a questo test.

Le raccomandazioni sono pochissime, ma di una chiarezza lampante. Massima attenzione per l’etichetta, in particolar modo il saluto. Oltre ad assicurarsi di essere vestiti in modo impeccabile, viene posta altissima attenzione al rei-ho. Se non si entra in contatto con il nostro compagno sin dal saluto iniziale, è inutile proseguire con il jigeiko. Si è già bocciati. Riguardo invece ai jigeiko, si torna sull’argomento centrale, per non dire centralissimo, di questo weekend. Entrare in contatto con chi abbiamo di fronte. Il 4° dan è la porta per un kendo che va oltre la tecnica. Questa deve ovviamente rimanere! A tutto ciò che si è appreso finora dal punto di vista tecnico va aggiunto un approccio mentale e spirituale che porta a costruire l’azione in modo attivo. Non attaccare mai nella speranza di raccogliere nell’azione che si sta per compiere tutte le condizioni di yuko-datotsu, ma creare l’opportunità. Far emergere questa ricerca nel modo più chiaro possibile. Anche il ridurre il numero di azioni da eseguire è un elemento da non sottovalutare. Attaccare a ripetizione può essere spesso un segno che denota scarsa disponibilità al dialogo.

Arriva il momento del jigeiko finale.

Noto con profondo piacere il desiderio di tutti i motodachi di volersi concedere a quanti più kenshi possibile, anche a costo di ridurre la durata di ogni jigeiko.

E’ caldo, ma la stanchezza lascia il posto alla voglia di non sprecare neanche un secondo del tempo che abbiamo a disposizione. Soprattutto perchè si ha la consapevolezza che siamo quasi alla fine. Ed allora, dopo un rapido sguardo all’orologio, ci si rende conto che non c’è tempo per aspettare il proprio turno in fila e ci si butta in mischia con altri praticanti. Fino allo scoccare dell’ultimo secondo delle 13:00.

E’ finito lo stage.

Ci togliamo il men e Livio Lancini, a nome di tutti e sei gli insegnanti,  si alza in piedi per ringraziare i tanti presenti.

In quel preciso istante parte un applauso spontaneo, un lunghissimo applauso che arriva al cuore di tutti.

Si rompe l’equilibrio tra forma e sostanza.

Da popolo mediterraneo quale siamo, quando ci troviamo ad esprimere la gratitudine col cuore lo facciamo in modo evidente, quasi per poter avere la certezza che il senso di riconoscenza arrivi in modo inequivocabile.

Senza nemmeno pensare lontanamente che il kendo italiano possa fare a meno di guide provenienti dal Giappone, credo di poter dire a nomi di tanti che un’occasione di portata nazionale in cui il Kendo viene tramandato in modo più vicino alla nostro metodo inconscio ed alla nostra tradizione di apprendimento, è sicuramente un’esperienza da ripetere.

Non so quando o con quale cadenza, ma da semplice praticante quale sono, credo sia un aspetto che va almeno considerato.

Che dire poi delle sessioni d’esame…

Davide, il mio compagno di quest’avventura, ha superato brillantemente l’esame di 3° dan consolidando quindi le fondamenta del nostro dojo.

http://ikendenshin.wordpress.com/2014/06/09/3-dan-modena/

Alcuni amici superano gli esami ed altri purtroppo no, ma vogliamo chiudere questo racconto con una foto che a nostro avviso racchiude appieno lo spirito presente in questi due giorni di Kendo.

Lo stage CIK per me è stato questo. E per voi?


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Kangeiko 2012, e tanto altro

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Partiamo da qui.

Nonostante i 2 anni trascorsi, è un ricordo fresco, un seminario che aveva colpito perché vedere Furukawa in video è interessantissimo, ma vederlo dal vivo è tutt’altra cosa. In questi due anni alcune cose sono cambiate, altri impegni sono intervenuti ma, come voi tutti ben sapete, quando il virus del Kendo entra in te è difficile sbarazzarsene.

Con sacrificio cerco di preparare l’esame per il terzo dan con l’ausilio di tutti coloro che pazientemente incrociano lo shinai con me. Mi sento dire “sì, ci sei. Non ti preoccupare”. Ma non sento la stessa sicurezza che ho avuto in passato. Sarà forse per il fatto che mia moglie è a casa in dolce attesa ed io sono lontano, o qualche acciacco fisico che mi tormenta. Fatto sta che sono concentrato, anzi preoccupato.

Questo viaggio verso Modena è stato in compagnia di Sofia, la nostra giovincella, Roberto e gli amici Roberto e Alessandro di Porto S.Giorgio. Macchina carica come non mai e via verso il palazzetto. E’ freddo. Arriviamo, ci registriamo allo stage ed andiamo a cambiarci. La delegazione giapponese di quest’anno è di quelle che ti fa sentire molto piccolo. Oltre ad Inoue e Furukawa, c’è Kato Sensei che i più attenti avranno riconosciuto su questo video.

Questa delegazione ebbe l’onere di risollevare la nazionale giapponese dopo la clamorosa sconfitta con l’America nel 2006.

Dopo Kanzaki Sensei, coach della squadra femminile, con questa spedizione abbiamo avuto modo di ospitare quasi tutto lo staff che prese parte a quella spedizione.

Dall’introduzione fatta da Inoue sensei si è capito che l’investitura era di quelle pesanti. Non una scommessa ma un duro lavoro di ripartenza. Ripartenza, mettendo in discussione tutto. Quindi ripartenza dalle base, dai suburi.

Mentre sento queste parole mi torna in mente il documentario su Eiga dove quest’ultimo si mette a pulire la palestra…la base.

Che sia un caso che il suo insegnante si chiami Furukawa Kazuo?

Furukawa Sensei ci illustra il suo modo d’intendere i suburi, quindi pensando di fare ippon e compiendo il movimento del corpo in un tempo solo, con una certa rapidità.  Non un semplice esercizio di riscaldamento, ma un movimento del corpo che va assimilato a grandi dosi. Centinaia di dosi. Il risultato è un po’ di affanno sì, ma con un sapore decisamente diverso. Introduce poi un paio di esercizi per sviluppare potenza nei quadricipiti.

Video

Furukawa, che ha ovviamente dalla sua parte l’età ed un’ottima condizione fisica, non si limita a spiegare gli esercizi, ma anzi guida tutti eseguendo i 500 i suburi senza perdersene uno.

Altra parte importante della “ripartenza” è l’uchikomi, quindi tecniche molto grandi cercando mantenere le anche sempre e rigorosamente sulla stessa linea delle spalle grazie a suriashi. Niente fumikomi quindi, perchè “se non si riesce a fare un bel men in suriashi, è inutile passare al fumikomi”. Stesso discorso per il kirikaeshi al quale viene però richiesto in un secondo momento più intensità ed un forte spirito.

Video

Il pomeriggio continua con tecniche avanzate in shikake waza che già avevamo visto 2 anni fa per poi chiudere con tanto jigeiko.

Il venerdì sera, dietro al gentile invito di Angela Papaccio, mettiamo i nostri cari e distrutti piedi sotto la tavola di una gustosa trattoria della zona assieme ad altri kendoka conosciuti allo stage. Lambrusco, affettati, tigelle e gnocchi fritti. Bellezza. Per qualche ora torniamo patriotticamente italiani :D.

Il sabato siamo davvero tanti. Inoue, Kato e Furukawa si prendono 3 gruppi diversi per affrontare il tema Kata. Inoue racconta un aneddoto molto interessante al riguardo.

Chi ci segue anche su Facebook avrà notato il post relativo all’ultimo esame per l’hachidan tenutosi a fine novembre in cui, su ben 1851 candidati solo 8 hanno superato l’esame!! In realtà alla fine della parte relativa al jigeiko erano 9, ma uno di questi fu bocciato proprio dalla commissione di cui faceva parte Inoue Sensei proprio nei kata…

Serve altro per dedurre quanto siano importanti i kata?

(Secondo il mio personalissimo parere, i kata sono importanti in quanto costringono in qualche modo ad avere una postura dove le spalle e le anche sono sulla stessa linea, ottenendo pertanto una postura “pulita” anche in keiko con il bogu)

Dopo la parte dei kata sono state sviluppate varianti di esercizi finalizzati al kirikaeshi e poi tanto jigeiko!

Arriviamo alla sera abbastanza stanchi. I mie piedi sono pieni di vesciche e l’unica soluzione che trovo in emergenza è usare il phon per asciugarle il più possibile… si avete letto bene. Aria calda, bollente. La mattina dell’esame ho ancora quell’incertezza ed insicurezza, ma mettendo della buona musica in cuffia, trovo il sorriso ed il relax.

Il palazzetto del Kangeiko è decisamente più vuoto così come gli spogliatoi.

Mi riscaldo mentre la commissione formata da Inoue, Kato, Furukawa, Nakano e Hongo prende posizione.

Tra gli esaminandi da 3° dan ci sono circa una dozzina di kendoka prima di me ed altrettanti dopo. Lorenzo Zago fa ordine tra le varie pool e quando tocca a me, con molta serenità faccio quello che so fare. Sento di aver fatto abbastanza bene il primo jigeiko mentre nel secondo le vesciche fanno scottare i piedi. Mi muovo meno. Spero.

L’attesa per i famosi cartelloni mi ricorda quelli di scuola superiore 😀 Vedo che il mio “316” è tra quelli che faranno i kata mentre mi rammarico nel vedere che quello del mio primissimo senpai Roberto non c’è. Mi spiace.

Nell’attesa dei kata assisto agli esami di 4° e 5° dan e rimango basito quando escono i relativi risultati. Solo 4 promossi nei 4° dan e nessuno nei 5° dan. Capisco che l’esame di 4° dan è un passaggio cruciale. Un bivio, o meglio un muro, un muro molto alto. Colgo il perchè ad ogni grado, il tempo per sostenere l’esame successivo si allunga. Il muro da scavalcare è sempre più alto.