Kendo nelle Marche


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Parliamo di Zen: intervista a Leonardo Vittorio Arena

Ci presentiamo.

Siamo kendoka, kenshi, praticanti di arti marziali. Un popolo variopinto che comprende atleti, amatori, cultori dell’oriente, donne e uomini che hanno scelto di dedicare la propria vita alla Via o, molto più spesso, persone immerse nel proprio quotidiano che riescono a riservare qualche ora settimanale per qualcosa di prezioso. Eterogenei su tutti gli aspetti: età, sesso, professione, scolarizzazione e quant’altro ci possa venire in mente. Omogenei certamente da un punto di vista: la passione per il Kendo. Perché il Kendo o lo ami o ti è estraneo.
Presentare il nostro interlocutore non è così semplice. Come spesso accade per i professori universitari, Leonardo Vittorio Arena, ha un curriculum a più pagine, wikipedia ci indica che ha sua una “Visione filosofica” e nella stessa frase c’è di mezzo Nietzsche!
Io, che di Nietzsche ho sentito parlare solo in una canzone di Zucchero, ho conosciuto il professore grazie ai libri “Samurai”, “Il Pennello e la Spada”, “Hagakure”.
Con i miei tempi, al terzo libro mi sono interrogato sulla vita dell’autore e, oltre a tante le informazioni interessanti, tra Zen e filosofia, ho scoperto una cosa interessante: Leonardo Vittorio Arena abita a Porto San Giorgio!Non perdiamo altro tempo quindi! Questa coincidenza non poteva passare inosservata ed è stata la scintilla che ha acceso quest’intervista, diamoci dentro!

K.N.M.: La mia presentazione è quella che è, ci dice qualcos’altro su Leonardo Vittorio Arena?
L.V.A.: Sarebbe una presentazione lunga e difficile. Tuttavia, la mia vita interiore è molto più importante di quella esteriore. Le mie pubblicazioni vertono tutte, aldilà dei temi, sulla mia visione filosofica che riguarda il nonsense e il nudo. Cerco di descrivere le cose come sono aldilà dei nostri schemi antropomorfici interpretativi. Ho scritto il primo volume di una mia autobiografia, che tratta le mie principali fonti di ispirazione: Nietzsche, lo zen e Bob Dylan. Un e-book acquistabile su Amazon. Aggiungo che ho coltivato la musica quasi con la stessa passione e interesse della filosofia e suono in diverse formazioni che si occupano tutte dell’improvvisazione radicale, raccolte sotto le denominazioni di Atman sound project e Mumachine. Altro? Sì: ho una produzione letteraria sterminata, come si può leggere su Wikipedia, alla mia voce, cui rimando. Cerco di applicare la mia visione filosofica a uno stile di vita: un insegnamento che ho mutuato soprattutto dalla filosofia dell’estremo oriente, cinese e giapponese, il Chan, il taoismo e lo zen.
K.N.M.: Ci deve essere stato un momento della vita in cui ha volto lo sguardo all’oriente, allo Zen. Com’è successo?
L.V.A.: Sono partito dalla filosofia indiana, dall’interesse dei Beatles per la meditazione. In quel momento, negli anni 60, tutto sembrava portare a una fusione tra la musica, la filosofia e l’oriente. Lo zen è stato la tappa principale di questa ricerca, scoperto per caso attraverso un libro di Allan Watts all’edicola della stazione ferroviaria di San Benedetto del Tronto. Come tanti ho cercato una nuova religiosità o una concezione spirituale nell’estremo oriente.
K.N.M.: Chiedendo, leggendo, informandosi… alla domanda “Cos’è lo Zen?” le risposte spesso sono state: “Il vuoto all’interno del contenitore.”, “Tutto, quindi Nulla.”, “Quel che rimane quando hai tolto il resto” (questo forse era il Tao), “Dormire quando si è stanchi, mangiare quando si ha fame”. Con il tempo ho capito molte di queste risposte, ma c’è stato bisogno di studio. Esiste una risposta più semplice ed immediata? (dopo tutto siamo rudi guerrieri)
L.V.A.: Cercare di diventare soltanto quello che si è, qualsiasi cosa sia. Per poi scoprire che lo siamo già. Criptico, ma mirato.
K.N.M.: in qualche maniera lo Zen è risultato ben fruibile per il Samurai. Ma il Buddismo ha un insieme di precetti che non sembrano combaciare con il quotidiano di chi vive di Spada. Com’è stata gestita questa contraddizione?
L.V.A.: Accettandola fino in fondo, accogliendo ciò che era compatibile e cercando di rielaborare il resto. Nello zen non c’è un’etica normativa, quindi non è stato difficile dal punto di vista storico. O meglio, in un certo zen non c’è un’etica normativa, ed è questo che ha interessato i samurai: l’immediatezza, la spontaneità, il non pensiero e l’assenza di significato della vita e del mondo.
K.N.M.: introduciamo un’altra parola famosa: “il bushido”. La colonna portante di questo codice sembra essere il Confucianesimo, c’è anche dello Zen? Dove?
L.V.A.: Il confucianesimo si interessa dei rapporti interpersonali, tra il signore e il samurai, all’interno del nucleo familiare e della società. La fedeltà e la lealtà dovrebbero essere i pilastri dell’etica del samurai. C’è stato un periodo, sia in Cina che in Giappone, che il confucianesimo ha acquistato tratti zen, attraverso la meditazione e il guardare dentro la propria natura, la cerimonia del tè e la capacità di produrre poesie in stile zen come un certo haiku.
K.N.M.: quindi, tirando le somme (ricordiamolo, siamo pragmatici), quali sono i punti d’incontro tra l’uomo della Spada e lo Zen?
L.V.A.: Si può vivere della propria arte, sia la scherma o la meditazione. L’atteggiamento è sempre il medesimo: l’egocentrismo viene messo da parte. L’eleganza dello stile può essere un valore di riferimento sia per il meditante che per il samurai.
K.N.M.: nei suoi libri fonde, con maestria, la narrativa alla saggistica. Ci racconta aneddoti che spesso hanno famosi samurai, monaci o maestri del tè come protagonisti. Ce ne racconta uno?
L.V.A.: La ringrazio di questa osservazione. Mi prefiggo esattamente questa fusione con i miei libri, e non riesco a concepire le due sfere come separate: lo si vede in tante opere letterarie sia in Cina che in Giappone. L’aneddoto migliore riguarda Rikyū, il maestro zen della cerimonia del tè. In previsione della visita di un illustre personaggio, un suo allievo pulisce il sentiero dove questi dovrà passare. Rikyu se ne accorge, e fa cadere di proposito sulla strada le foglie degli alberi. Il terreno acquista una qualità wabi/sabi, imperfetta e polverosa: una estetica che ha il compito di far notare la pienezza della vita e la sua disarmonia, di contro alla estetica occidentale del perfezionismo.
K.N.M.: saltiamo ai giorni nostri. In oriente come in occidente, che fine ha fatto il bushido? Lo zen? I samurai? (Quest’ultima domanda forse potrebbe rivolgerla lei a noi)
L.V.A.:  Riguardo al bushido, la giro a voi, anche perché mi sto accorgendo che sto parlando troppo. Dal punto di vista storico i samurai sono stati messi fuorilegge durante la restaurazione dell’epoca Meiji. Ho scritto un libro sui kamikaze giapponesi dell’ultima guerra mondiale, osservando come i loro ufficiali principali provenissero da famiglie di samurai, e fossero impegnati del loro spirito. Quanto allo zen, ho avuto numerosi contatti con alcuni esponenti in Italia, organizzando convegni e seminari. Come in tutti i casi di diffusione del buddhismo, lo zen in Occidente si è contaminato con altre correnti, come il cristianesimo. Mi astengo da altre considerazioni generiche e approssimative; auspico che lo zen possa recuperare il suo spirito primigenio, rifuggendo dal dogmatismo e dalla liturgia – un discorso che vale per ogni forma di buddhismo in occidente o meno.
K.N.M.: Chi pratica Kendo, dopo un breve periodo, si accorge che la sua pratica potrebbe concentrarsi esclusivamente nel progressivo miglioramento nell’esecuzione di un singolo taglio, quello alla testa, il “men”. Un praticante di Taiko (del Fudentaiko) mi ha insegnato che l’obiettivo della sua disciplina si riassume nella riprodurre un suono perfetto, nella tecnica base: il “don”. Si può dire lo stesso per le altre discipline di origine Giapponese? Dove ci porta questa ricerca della perfezione?
L.V.A.: C’è una ricerca della perfezione, ma secondo l’aneddoto surriportato. Si tratta di schemi diversi, rispetto a quelli occidentali della prestazione. Tuttavia, a volte si può cadere anche in questi. Ma il wabi/sabi dovrebbe essere rispettato: la perfezione dell’imperfezione. Il pericolo del perfezionismo potrebbe essere il manierismo e l’insincerità: valori che ci allontanano dallo zen, dal confucianesimo e dal taoismo.
K.N.M.: Lei pratica meditazione. Zazen? Se è possibile chiederlo, perché? Anche questa pratica, dove la porta? Dove ci porterebbe se la scegliessimo anche noi?
LVA: Pratico la meditazione e organizzo corsi di una tecnica che ho mutuato dal buddhismo e dal sufismo, nella cornice della psicologia dinamica, disciplina che ho insegnato. Ho una formazione psicoterapeutica. La meditazione mi aiuta nel mio lavoro di insegnante universitario, nella pratica della musica, nei rapporti interpersonali: in qualsiasi campo. Non credo nell’adozione di posizioni prestabilite, e questo mi discosta dallo yoga e da una adesione rigida allo zazen. La meditazione è utile per qualsiasi disciplina o forma di apprendimento.
K.N.M.: Infine, tra le sue pubblicazioni, oltre a quelle già citate che personalmente invito tutti a leggere, c’è qualcosa “fatto apposta per noi”?
L.V.A.: Il mio e-book: Sunzi: L’arte della guerra per conoscere se stessi. Avevo già tradotto per Rizzoli l’arte della guerra, l’opera di Sunzi. Davo per scontato che il lettore potesse applicarne i principi alle sue diverse attività. In questo e-book compio io questo lavoro per lui, anche in seguito alle richieste pervenutemi. L’opera di Sunzi è stata studiata dai samurai in ogni periodo della storia del Giappone, ed è la base di qualsiasi altra opera strategica estremo-orientale. In un volume pubblicato da Rizzoli, sull’arte della guerra e della strategia, ho tradotto e commentato i principali scritti sul tema cinesi e giapponesi.
KNM: La ringrazio per il suo tempo e par aver dato seguito a questo interlocutore probabilmente diverso da quelli con cui è abituato a conversare. Quella di crescere, imparare, migliorare è una nostra ossessione: ci saluta con qualcosa di cui possiamo far tesoro?
LVA:  È la domanda più difficile. Ci dormo sopra e domani mattina le scrivo la risposta…(Dopo il sonno) Uscire dagli schemi e adattarsi alle situazioni.


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Kiwada e Yang, chiacchiere e molto altro…

Ricordate lo stage del M°Kiwada e M°Yang raccontato da Marco Tamaro del Nami Kendo Dojo Trieste Accanto allo stage c’è stato anche un momento intimo che possiamo raccontare innanzitutto grazie alla disponibilità dei due maestri ed allo stesso Marco che ce lo riporta integralmente qui sotto.
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COME SI FA A COMBINARE GLI IMPEGNI PERSONALI CON GLI ALLENAMENTI DI KENDO?
Yang: ci sono più di cento motivi per non praticare il Kendo, e probabilmente quasi tutti validi…c’è la famiglia, c’è il lavoro, questioni economiche…ma c’è sempre almeno un buon motivo per praticare. Solitamente il bilanciamento tra vita privata ed allenamento non è mai al 50 %, ma 30% 70% o 40% 60%, ma se si vuole si riesce a combinare. Poi naturalmente dipende dagli obiettivi che uno si pone…
SI SA CHE IL LIVELLO DEI GIAPPONESI O COMUNQUE DEGLI ORIENTALI E’ MOLTO PIU’ ELEVATO RISPETTO A QUELLO DEGLI OCCIDENTALI, PER VIA DEL NUMERO DI ORE DI PRATICA E PER MOLTI ALTRI FATTORI, COME SI SENTONO GLI ORIENTALI A PRATICARE CON GLI OCCIDENTALI?C’E’ QUALCHE DIFFICOLTA’ DA PARTE VOSTRA A CONFRONTARVI CON PERSONE PIU’ INESPERTE?
Kiwada: la difficoltà principale sta nella prestanza fisica; io sono più alto della media dei giapponesi ma solitamente gli occidentali sono più alti e ben piazzati, perciò hanno una spinta della gamba sinistra superiore; non si può mai dire a priori chi sia più bravo. Una differenza sostanziale però sta nel fatto che gli europei ad esempio dopo i primi cinque minuti si stancano e tendono a perdere la concentrazione, mentre i giapponesi si allenano proprio su questo, sul piano mentale, sul trovare i punti deboli e di conseguenza le opportunità. Comunque anche i giapponesi si allenano molto per affrontare gli europei, piuttosto che gli americani od i coreani.
CI SONO DEI LIMITI NELLA PRATICA DEL KENDO PER CHI NON APPARTIENE ALLA CULTURA GIAPPONESE?
Kiwada: parlando della carriera da atleta, capita nelle competizioni dove vengano assegnati dei punti dubbi, dove non c’erano, anche in Giappone. Bisogna però cercare di esprimere se stessi con un buon Kendo, di rendere la bellezza dell’azione con un colpo sincero, di mettere se stessi creando la bellezza nel costruire un discorso. Nella scherma occidentale appena si colpisce, viene assegnato il punto. Il Kendo invece richiede la bellezza della pratica, questo pensiero può essere portato come obiettivo comune anche in occidente.
Yang aggiunge: ognuno di noi dev’essere fiero di praticare un’arte marziale di cultura giapponese, la cosa importante è cosa si sente mentre si pratica il Kendo. Ad esempio, gli spaghetti sono italiani, ma ci sono anche in cina, sicuro, anche in america, anche in giappone, però sono italiani. Allora bisogna essere fieri di ciò che si rappresenta.
CHE TIPO DI PREPARAZIONE ATLETICA CONSIGLIATE A LIVELLO DI ESERCIZIO FISICO?
Yang: hahah…io e il Maestro Kiwada abbiamo entrambe 37 anni, lui pratica mediamente dalle 5 alle 6 ore al giorno, quindi circa 20 ore a settimana, io 4… Detto questo l’unica preparazione che ti serve è: praticare Kendo! Sì, si può andare un po’ a correre, ma io per esempio non andrei molto veloce. ah ah ah!
KENDO SPORT – KENDO FILOSOFIA, CHE COSA NE PENSATE?
Kiwada: personalmente preferisco la parte “sportiva”, infatti sarei favorevole a renderlo sport olimpico per rendere questa disciplina un po’ più vivace diciamo, però il Kendo è nato come combattimento con la spada e naturalmente dietro c’è una filosofia; la competizione è una parte del Kendo, un piccolo momento.
Yang: il 99% il Kendo è mentale solo l’1 % è fisico…
CAPITA SPESSO DI PRATICARE IN UNA COMPETIZIONE O DURANTE UN ESAME CON UNA PERSONA CHE CONOSCIAMO ED IL PIU’ DELLE VOLTE RENDIAMO MOLTO DI MENO IN COMBATTIMENTO, MAGARI PERCHE’ LO CREDIAMO MENO CAPACE DI NOI. C’E’ UN MODO PER ALLENARE L’ATTITUDINE MENTALE NELLO SHIAI?
Kiwada: ci sono molti atleti che per entrare nella mentalità giusta e per concentrarsi compiono dei piccoli “riti” che li fanno entrare in una situazione che conoscono già, in un qualcosa che fanno abitualmente, per “pensare inconsciamente” che sia una situazione normale della quale non bisogna avere paura o preoccupazione. Io ad esempio quando indosso il men tiro gli himo-men per tre volte, questo è un trucchetto personale appunto per entrare in una condizione “già vista”…
Poi ci sono due casi, anzi due tipi di atleta: il primo prepara una variabilità di attacchi con una serie di situazioni diverse, allenarsi all’imprevedibilità; il secondo atleta si allena sul suo colpo preferito, prendiamo ad esempio il men, si allena bene solo su quello (in modo da sentirsi sicuro, “situazione familiare”) in questo modo aumenta la fiducia in se stesso.
Personalmente preferisco il primo caso, la variabilità. In questo modo si è sempre preparati a qualsiasi situazione.
Yang: tutti quanti abbiamo paura prima di un incontro, è normale ed è umano. Bisogna avere fiducia in se stessi, dire a se stessi “sai che puoi farcela”. Io penso ad un sacco di cose: a mio figlio, a mia moglie, ecc. ma bisogna guardarsi allo specchio ed avere fiducia in se stessi perché si darà il massimo e si farà tutto ciò che siamo in grado di fare, questo è importante.
QUALI SONO GLI OBIETTIVI CHE VI HANNO SPINTO A PRATICARE IL KENDO, COME SONO CAMBIATI E QUALI SONO I VOSTRI OBIETTIVI OGGI?
Kiwada: nel corso della mia carriera ho avuto ed ho cambiato molti obiettivi diversi. Come quasi tutti i bambini giapponesi ho sentito parlare del Kendo dai miei genitori e quindi non avevo una vera e propria motivazione per praticare il Kendo, infatti più avanti quando iniziai a gareggiare e cominciavo a vincere, per spronarmi a dare il massimo, ogni volta che vincevo i miei genitori mi regalavano un videogioco. Poi sono andato al liceo ed ero più motivato, e poi all’università e qui l’obiettivo è cambiato. Quando sono entrato nella Polizia di Osaka il mio obiettivo era quello di diventare un atleta della Polizia e successivamente quello di diventare il campione del Giappone. Attualmente la mia attenzione si è spostata da un’altra parte ed il mio obiettivo oggi è quello di diventare un buon allenatore.
Yang: se si punta tutto a vincere alle competizioni e poi si perde un incontro, allora ci sembrerà di morire!! Bisogna praticare il Kendo perché si ama il Kendo…bisogna mostrare agli altri un buon Kendo…
LE DIFFERENZE PRINCIPALI CHE SI NOTANO TRA I GRADI ALTI ORIENTALI ED AMERICANI RISPETTO A QUELLI OCCIDENTALI SONO UN MIGLIOR TENOUCHI E UN FUMIKOMI PIU’ POTENTE. COSA NE PENSATE
Yang: innanzitutto anche tra noi (USA) ed i giapponesi c’è molta differenza, ma proprio per il discorso di ore di pratica dedicate al Kendo; inoltre in occidente si tende molto ad essere rigidi con la parte alta del corpo e quindi il risultato è un colpo rigido.
Kiwada: le mani e le braccia devono sorreggere la shinai ma senza trattenerla rigidamente [qui il Maestro ha fatto un esempio con un praticante, restando in kamae e provando a sfilare la shinai dalla punta, questa non veniva via, proprio perché veniva tenuta in maniera rigida. Poi ha provato il Maestro e tirando la sua shinai dalla punta, si poteva sfilare con facilità e naturalmente, faceva osservare il Maestro Yang, nel Kendo sfilerà via la shinai all’avversario; M° Kiwada conclude spiegando che comunque bisogna avere un buon grip sulla tsuka, altrimenti con un harai perderemmo la spada…quindi comunque chiudere il pollice sul medio]
Yang: movimento del taglio in parte viene effettuato dalle braccia e le braccia sono composte da articolazioni che sono tutte collegate tra di loro (spalla, gomito, polso, dita) il movimento di una ha una conseguenza sulla successiva. Si tende ad utilizzare molto le spalle, ma si dovrebbe lavorare molto di più con i polsi.
Bisogna avere più focus, più concentrazione nel taglio che si sta eseguendo. Un buon esercizio che faccio anche se non mi viene richiesto è quello di cercare di eseguire un ottimo colpo ad ogni colpo. Ad esempio se mi viene chiesto di fare cinque men di fila, anziché colpire e basta, ad ogni colpo mi concentro e do il massimo per eseguirlo alla perfezione e questo è un esercizio che possono fare tutti.
QUALE DIFFERENZA C’E’ TRA IL RUOLO DI CAPITANO E GL’ALTRI COMPONENTI DELLA SQUADRA?
Kiwada: un capitano deve pensare per la propria squadra, curarne la preparazione mentale, dev’essere in grado di aiutare se stesso e i compagni ed in gara deve dare il massimo per dare l’esempio e spronare i compagni.
Yang: la penso come il M° Kiwada. Il ruolo del capitano forse è il più difficile ed il più solitario perché sei da solo ma devi essere disponibile con tutti, tutti vengono a chiedere a te. Io non conosco di persona molto bene la nazionale italiana perché naturalmente non ne faccio parte, ma secondo me c’è un motivo se Filippi è stato nominato capitano. Bisogna avere un carattere forte ed essere capace di spronare in modo diverso i propri compagni a seconda del loro carattere. Se per esempio con Pezzo bisogna incoraggiarlo dargli supporto perché è un buon ragazzo, magari con Moretti bisogna spronarlo in maniera più diretta, essere più duri. Non è facile il ruolo di capitano. Prima di dire, di parlare però, bisogna agire. La prima cosa è dare il buon esempio. Anche questo vuol dire essere un leader. Non si può dire prima di fare…
Marco Tamaro
Nami Kendo Dojo – Trieste


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“Kendo – La via della spada” di Franco Sarra

Oggi ci spostiamo virtualmente a Milano per presentare ai nostri lettori un nuovo libro sul Kendo.

“Kendo – La via della spada” è il titolo del testo scritto dall’amico Franco Sarra, un pioniere del kendo italiano che abbiamo intervistato per ascoltare direttamente dalle sue parole com’è nato e cosa c’è dietro a quest’interessante progetto.

Grazie a Franco possiamo tra l’altro farvi vedere in anteprima la bellissima copertina del libro che sarà in uscita il 13 prossimo maggio!

Kendo - la via della spada di Franco Sarra

Kendo nelle Marche: Ti ricordi cosa stavi facendo quando hai avuto il primo spunto nell’iniziare a pensare ad un nuovo libro sul kendo?

Franco Sarra: l’idea di scrivere un nuovo libro sul kendo risale alla seconda metà degli anni novanta, una vita fa!

Non ricordo la “molla” che mi aveva spinto allora. Ricordo invece che avevo incominciato a tirar fuori materiale da consultare, a mettere giù uno schema e a scrivere qualcosa. Ma la molla poi non è scattata e la cosa, lentamente, è finita nel mio personale dimenticatoio, che è ormai stipato di un sacco di idee…

Poi, alla fine del 2013, Matteo Luteriani, il signor “LUNI Editrice”, che non sentivo da tantissimo tempo, mi manda una mail: aveva parlato di me con qualcuno del nostro mondo, voleva pubblicare da una vita un libro sul Kendo in italiano e scritto da un italiano e pensava, blandendomi da bravo editore, che io fossi il più indicato, l’unico che potesse farlo.

Da un lato la cosa mi faceva piacere: per tanti anni ho sempre scritto con piacere di arti marziali e di kendo in particolare; dall’altro l’idea di rimettermi di nuovo in pista non mi andava tanto. Ho preso tempo, poi ci siamo incontrati e gli ho chiesto cosa volesse. Mi ha risposto: la Bibbia del kendo! Gli ho risposto che per le Bibbie non ero né all’altezza nè attrezzato; tutt’al più un manualetto. Abbiamo incominciato a discuterne blandamente, poi a trattare e alla fine mi ha tirato dentro.

KNM: Quali sono le motivazioni che ti hanno spinto alla stesura del libro “KENDO – La via della Spada”?

F.S.: Quando ho scritto il mio “manuale di Kendo”, ormai trent’anni fa, l’ho fatto per dare delle informazioni sulla nostra disciplina a quelli che si avvicinavano al Kendo e ai tanti che non riuscivano a procurarsele, stante la difficoltà all’epoca a reperire testi specifici e ad avere insegnanti all’altezza. Per questo avevo messo su carta le mie conoscenze dei principi di base – assolutamente limitati -.

Trent’anni dopo, parlandone con l’Editore, mi sono reso conto che, nonostante si viva nel mondo di internet che dà l’accesso ad una immensa mole di informazioni, non esisteva alcun testo italiano che le raccogliesse in modo organico in un unico “contenitore”: ogni informazione va ricercata con fatica; spesso bisogna saperne valutare l’attendibilità, perché su internet si trova di tutto e di più, ma talvolta è riportato in modo approssimativo o addirittura errato. Col risultato che spesso ci si blocca, o si prendono per buone informazioni non corrette o si “orecchiano” i principi di base in modo superficiale.

Inoltre, mi sono accorto che i Kendoka italiani, parlo di quelli che hanno iniziato a praticare dagli anni novanta del secolo scorso in poi, non hanno idea di come si sia evoluto il Kendo in Europa e in Italia; poiché sono profondamente convinto che per crescere e svilupparsi è fondamentale avere, e conoscere, le proprie radici, questa mi è sembrata l’occasione per raccontare un po’ le nostre vicende.

Queste sono le ragioni per cui ho deciso di rimettermi a scrivere. Per pubblicare un libro che possa essere considerato, almeno mi auguro, fonte attendibile di consultazione su temi e nozioni che non sempre, per tante ragioni, possono essere approfondite nei dojo.

Fermo restando che, per imparare il Kendo non ci si deve affidare ad un libro, ma a un insegnante qualificato.

KNM: Leggendo l’articolo che hai scritto sulla storia del kendo in Italia pubblicato su Ki on Line, abbiamo colto che tu hai attraversato tutte (o quasi) le fasi di gestazione della federazione che attualmente ci accoglie. Cosa secondo te manca alla nostra federazione per fare un ulteriore salto di qualità?

F.S.: Io non credo che alla nostra federazione manchi qualcosa. Penso invece che la federazione che, a mio giudizio, deve essere una struttura al servizio dei praticanti, debba evolversi con l’evolversi della disciplina. Come ho già scritto in più di un’occasione, penso che la CIK abbia fin qui svolto egregiamente il suo ruolo: ha superato, direi brillantemente, la fase pionieristica e ha portato il Kendo italiano in “un’era moderna”, sviluppando una struttura invidiabile e invidiata in Europa.

Ora, secondo me, siamo entrati in una fase nuova e la federazione deve avere il colpo d’ala per aiutare i kendoka italiani a progredire e crescere numericamente, ma anche e soprattutto in qualità.

E per fare questo bisogna anche, a mio modesto giudizio, “fare cultura”. Kendo non è solo un’attività fisica. E’ anche tanto altro. E questo “altro” bisogna divulgarlo, farlo conoscere e comprendere, trovare il modo di insegnarlo. Altrimenti non progrediamo. Nel mio personale dimenticatoio di cui parlavo prima ho qualche idea al riguardo e chissà che qualcuna non possa essere ripresa anche dalla CIK.

KNM: Ci sono dei maestri che ti hanno particolarmente toccato il cuore? E perchè?

F.S.: Ho conosciuto e praticato con una miriade di Sensei; la maggioranza di essi mi ha lasciato qualcosa.

Ma ovviamente ho i miei Maestri di riferimento, quelli che mi hanno dato tantissimo e grazie ai quali continuo a praticare. In primis il M° Miyazaki (n.d.r. Kentaro) che mi ha dato l’impostazione che ancora ho, e non mi riferisco solo alla tecnica. Poi il M° Toyofuku con il quale ho praticato costantemente per oltre 25 anni, che considero il mio padre putativo. Quindi il M° Hirakawa che seguo ormai dal 1981, che ancora oggi mi stupisce per la qualità tecnica e umana che riesce a trasmettermi ogni volta. Dei Maestri che ho conosciuto in tempi più recenti, quello per il quale ho grandissima stima e con cui ho un feeling particolare è il M° Kanzaki che fa della modestia il suo stile di vita, pur essendo, a mio giudizio, un kendoka e un insegnante eccellente.

KNM: Salvatore Bellisai, nostro primissimo insegnante e carissimo amico, ha curato la parte illustrativa del tuo progetto. Tra l’altro, non è la prima volta che si cimenta in quest’attività. Hai lasciato che si esprimesse liberamente od i suoi disegni sono finalizzati a completare alcuni concetti da te scritti in questo tuo nuovo testo? Raccontaci questa collaborazione!

F.S.: Conosco Salvatore da tutta la vita, ormai. Ha illustrato anche il mio precedente manuale, e non solo il mio. So quindi come prenderlo: bisogna dargli gli input giusti, ma poi va lasciato esprimersi. Bisogna andargli dietro, non vincolarlo. Ovviamente abbiamo visto insieme cosa fare. Gli ho spiegato come avrei voluto il libro e cosa volevo da lui. Poi però l’ho lasciato libero di fare. Discutendo comunque continuamente sul materiale che mi proponeva e, ogni tanto, riportandolo negli argini: le illustrazioni riportate sul libro, che sono tantissime, sono solo una parte di quelle che ha disegnato e, fosse stato per lui, ne avrebbe fatte un sacco di più! Poi però, massima libertà. Anche perché non avevo da spiegargli nulla sulle tecniche. Che è poi il grande vantaggio di avere un disegnatore che è anche un tecnico esperto e capace.

 KNM:  Osservando la copertina leggiamo il sottotitolo “Volume 1”. Questo ci porta a pensare che sia un progetto più ampio. E’ stata fatta una suddivisione per argomenti?

F.S.: In effetti il libro è in due volumi. Nel primo, che è quello in uscita, ho trattato  la teoria e la tecnica del Kendo. Nel secondo, che uscirà in autunno, parlo dei principi e della storia. Gli argomenti del primo volume vanno dallo Shinai al Bogu; dal modo di vestirsi ai bersagli, da come impugnare lo shinai a come colpire; poi parlo di maai, ashisabaki, tenouchi, tecniche di base; e ancora: ki e kiai, sutemi, zanshin, il keiko e i waza, il sistema dei gradi, gli esami, la gara. In pratica ti ho elencato l’indice!

Ho cercato, in ogni argomento, di dare informazioni e descrizioni, cenni storici e notazioni tecniche. Insomma ci ho messo, o almeno ho cercato di farlo, tutto quello che ho imparato nei miei primi quarant’anni di attività e di ricerche!

KNM: A quando un libro sulla storia del Kendo in Italia?

F.S.: Nel volume 2 ci sarà una storia piuttosto dettagliata e approfondita, nei limiti delle mie conoscenze, ovviamente, del Kendo in Italia. La nostra storia, insieme a quella del Kendo in Europa e in Giappone è quella che a scriverla mi ha impegnato e, anche, divertito di più. Ci sarà anche, sempre a proposito di storia italiana, una “galleria” di ritratti di personaggi che hanno fatto il Kendo in Italia. La scelta dei nomi l’ho fatta ovviamente io, ed è quindi assolutamente arbitraria.

KNM: E’ un libro fruibile da qualsiasi praticante di qualunque esperienza o ti sei rivolto ad una specifica parte di appassionati?

F.S.: Nelle intenzioni, e spero anche nella realtà, il mio libro vuole essere per tutti: per il neofita, non necessariamente praticante,  ma anche per il Kendoka che vuole avere in un unico testo riferimenti e informazioni. Io l’ho scritto con Jiki shin, cuore diritto, e mi auguro che possa risultare utile alla pratica e al progredire del Kendo. Che è poi la ragione per cui è stato fatto.

KNM: Nell’intervista con Gianfranco Moretti, è emerso un aspetto che chi fa Kendo conosce bene. La nostra disciplina, intesa come percorso personale, attraversa diverse fasi. Dove ti trovi tu ora?

F.S.: Per strada! A parte gli scherzi, per quel poco che ho imparato, la via è come la vita. Sono entrambe un percorso che sai com’è prima, ma non come sarà dopo. Non sapendo dov’è  l’arrivo (e, sinceramente, non sono interessato a saperlo) non so neanche a che punto sono. Per cui cerco di andare sempre avanti, magari piano, ma sempre avanti. E la cosa bella è che nonostante tutti gli anni alle spalle, ormai sono sessanta di vita e quaranta di pratica, scopro quotidianamente che sono sempre più le cose da imparare di quelle che conosco e che questo mi piace! Vuol dire che posso e voglio crescere ancora. E prego di continuare il più a lungo possibile.

KNM: Abbiamo avuto l’onore di averti ospite in più edizioni dell’evento “Trofeo dell’Adriatico” che organizziamo come dojo ogni anno ormai da 7 anni. E’ un piccolo spaccato di kendo che richiama praticanti che si affacciano sostanzialmente da inesperti al mondo delle competizioni.

Cosa accomuna e cosa distingue questi praticanti da quelli che assieme a te si cimentavano nel mondo dello shiai qualche decennio fa?

F.S.: E’ un discorso non semplice. E’ vero che si parla sempre di kendoka, ma in realtà si tratta di due mondi diversi, difficili da mettere a confronto.

Quello che rimane sempre uguale è il clima che si respira, che è quello del Kendo. Oggi c’è più tecnica, una maggior conoscenza delle regole, una organizzazione assolutamente superiore che aiuta molto i competitori, una maggiore maturità anche tra i principianti, fors’anche perché oggi gli insegnanti sono di un livello medio nettamente superiore a quello di trenta, quarant’anni fa (che molte volte non c’erano!).

Una volta c’era un agonismo molto più accentuato, che qualche volta sconfinava nella belluinità, che serviva probabilmente a compensare una tecnica spesso approssimativa. Se parliamo di livello generale, quello di oggi è sicuramente migliore, anche perché più omogeneo. Magari una volta c’era in generale  più determinazione. Ma forse vedo il passato con occhio deformato…

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Il prossimo 13 Maggio 2015  uscirà:

KENDO – LA VIA DELLA SPADA

I principi, la teoria, la tecnica e  la storia

Volume 1 – La teoria, la tecnica

di Franco Sarra

Illustrazioni di Salvatore Bellisai

208 pagine. Formato 17×24

Collana LE VIE DELL’ARMONIA

LUNI EDITRICE

Prezzo di copertina: 20,00 Euro

Non fatevelo scappare! 😉


6 commenti

Intervista: Shozo Kato Sensei!

kato Shozo USA Kendo

Kendonellemarche

ITA: Quando si è avvicinato al Kendo e cosa l’ha spinta ad impugnare uno shinai?

ENG: Why and when did you start the practice of Kendo?

Shozo Kato Sensei

ITA: Iniziai in casa all’età di 10 anni facendo suburi, e poi a 12 anni durante le scuole medie ho iniziato ad indossare il bogu.

ENG: I started suburi at the age of 10 at home, and then at age of 12 during Junior High School started to wear bogu.

Kendonellemarche

ITA: Quando si è trasferito negli USA che differenze ha trovato tra il Kendo visto in Giappone fino a quel momento e quello americano?

ENG: When you moved into US which differences did you find between the Japanese and the American Kendo?

Shozo Kato Sensei

ITA: Il mio obiettivo iniziale non era il Kendo, ma studiare arte in USA.
Grazie all’incontro avuto con alcuni kenshi americani, emerse l’opportunità di riprendere la pratica di nuovo; inizialmente, avendo loro un approccio prevalentemente fisico, sembrava più un kendo atletico.
Inoltre, invece di curare le basi e il lato spirituale, si dava a mio parere più importanza al colpire velocemente l’avversario.

ENG: I arrived to the USA in 1982.
My initial objective was not Kendo, instead came to study art to the USA.
Due to meeting an American Kenshi, that became the opportunity to start again, initially the due to the large physique of the practitioners, felt more like physical Kendo.
Also, instead of basics and mentality aspects, hitting the opponent faster was emphasized in my opinion.

credits - James Tourtellotte

credits – James Tourtellotte

Kendonellemarche

ITA: Cosa l’ha spinta a fondare un dojo e cosa significa il nome “SHIDOGAKUIN”?

ENG: Why did you open up a Dojo and what is the meaning of “SHIDOGAKUIN”?

Shozo Kato Sensei

ITA: Pura coincidenza, incontrai una persona della mia stessa prefettura di Hiroshima, era un studente di medicina di nome Dr. Inoshita Sensei e diventammo amici. Nel 1984, entrambi interessati ad enfatizzare l’importanza degli aspetti spirituali del Giappone, non facevamo altro che parlare di un Dojo che valorizzasse questi aspetti, ed istituimmo il Doshikan-Kendo-Club. Il Dr Inoshita Sensei era il kancho (capo del Dojo) ed io ero il Shidoin (Insegnante).

Un anno dopo, Dr. Inoshita Sensei si trasferì a Cleveland per lavoro, quindi divenni l’unico responsabile del Dojo, sia Kancho (capo del Dojo) che Shidosha (Insegnante).

Tre anni dopo, nel 1988 il nome cambiò in Shidogakuin, ed è tutt’ora un Dojo accessibile e molto attivo.

La definizione di “Shidogakuin” è “La scuola che aspira al percorso della via giapponese “.

Significa anche “La scuola del Budo (Bushido)”.

ENG: In pure coincidence, I met a person from the same home prefecture of Hiroshima as I, he was a medical student named Dr. Inoshita-Sensei and we became friends. In 1984, both believing in a Japanese mental aspects being emphasized, we talked about a dojo with great passion and established the Doshikan-Kendo-Club.  Dr. Inoshita-Sensei was the Kancho (Head of Dojo) and I was the Shidoin (Instructor).

After a year later, Dr. Inoshita-Sensei had to move to Cleveland, Ohio for work, thus I became the Kancho (Head of Dojo) and Shidosha (Instructor) and ran the dojo.

Then, 3 years later, in 1988 the name changed to Shidogakuin, and still a very active and viable dojo.

The definition of “Shidogakuin” is “The School of Aspire to Path of the Japanese Way.”

Also, it means The School of Budo(Bushido) as well.

Kendonellemarche

ITA: Quali sono stati o sono tutt’ora i suoi riferimenti ed i suoi Maestri nel Kendo?

ENG: Who were and who are your Kendo Sensei?

Shozo Kato Sensei

ITA: All’inizio, mio padre che mi ha insegnato ad impugnare lo shinai, praticare suburi e maneggiare una katana. Quando iniziai le scuole medie, sia il Kendo che lo Iaido mi furono insegnati da Takeo Kawamoto Sensei (Kendo Kyoshi 7 Dan, Iaido Kyoshi 7 Dan).

ENG: At the beginning, my Father taught me how to hold a Shinai, how to do Suburi, how to handle a Katana. When I entered Junior High School, then Kendo and Iaido was taught to me by Takeo Kawamoto Sensei (Kendo Kyoshi 7 Dan, Iaido Kyoshi 7 Dan).

Kato Shozo 15 WKC Kendo

Kendonellemarche

ITA: Lei ha ricoperto ruoli di primissimo piano nella gestione e nella guida della nazionale americana, che soprattutto nelle ultime edizioni dei mondiali, ha ottenuto ottimi risultati.

ENG: You have covered key positions in the American Kendo Team obtaining, like in the last WKC, remarkable results. Which kind of training and approach you have to the agonistic Kendo?

Shozo Kato Sensei

ITA: Non credo di avere meriti per i risultati della nazionale, piuttosto ritengo che ogni senshu abbia dato il meglio ed il risultato finale è frutto solo di quell’impegno.

ENG: I do not believe that I am responsible for the remarkable results, rather I believe that each Senshu/player did their absolute best and the results were from their efforts.

credits - James Tourtellotte

credits – James Tourtellotte

Kendonellemarche

ITA: Che tipo di lavoro ha fatto e quali sono le caratteristiche del vostro approccio al kendo agonistico?

ENG: Which kind of training and approach you have to the agonistic Kendo?

Shozo Kato Sensei

ITA: Francamente, non ho mai studiato metodi per vincere campionati. La mia opinione è quella di vincere e poi colpire, e non colpire per vincere. Ciò che è più importante è che il cuore e la mente vegano prima della tecnica.

C’è un detto conosciuto come “san-sa-pou“ 「三殺法」(composto dai caratteri San(三)= tre, sap = uccidere(殺), e hou(法) = metodo), ma visto che non amo la parola “satsu/Sap = uccidere”, allora mi piace pensare a “San-sho-hou” 「三勝法」(composto dai caratteri San(三)= tre, sho(勝)= vittoria, hou (法)= metodo).

Non eseguire una tecnica perchè il tuo avversario sta avanzando, piuttosto “ki-de-kachi”(気で勝つ)= “vinci con il tuo ki”(気), quindi il tuo Seme (攻め)con il tuo Ki dovrebbe essere impiegato per vincere, ed allora il cuore/mente del tuo avversario barcollerà, e sarà costretto ad usare la tecnica.

Comunque, questo non significa che tu stia attendendo. Ken-de-kachi(剣で勝つ) = “Vincere con la tua spada”, mentre combatti per guadagnare il centro “Seichusen(正中線) = Il vero centro”.

Si dovrebbe guidare il nostro avversario con il nostro seme.
“Vincere con la tecnica” è sen-sen-no-sen (先先の先)oppure sen-no-sen(先の先)(anticipare la tecnica e la mente del nostro avversario) e go-no-sen (後の先)(anche se il nostro avversario porta una tecnica, si è in grado di contrattacare), ma la tecnica viene alla fine.

Definisco la tecnica da usare quando il mio avversario è pronto ad avanzare, e sono in grado di applicare un “Debana-waza”, poi potrebbe essere un “suri-age-waza”, ed alla fine un “nuki-waza”, in questo preciso ordine.

Il punto è, non essere troppo concentrati sul nuki, altrimenti il nostro approccio diventerebbe di attesa, e quando il nostro avversario avanza, l’alzare le braccia od il corpo, distruggerebbe la nostra postura, con la conseguenza di venire colpiti dal nostro avversario.

ENG: In all truthfulness, I never state how to win tournaments, or the methods to win.
In my opinion, not strike and win, instead win then strike.  What is most
important is the heart and mind prior to the technique.

There is a saying called “san-sa-pou“ 「三殺法」((consists of the character of San(三)= three, sap = kill(殺), and hou(法) = method)), I rather not like the word “ satsu/Sap = kill”, thus I like to think of “San-sho-hou” 「三勝法」(consists of the character of San(三)= three, sho(勝)= victory, hou (法)= method).

Not to do a technique because your opponent advances, rather “ ki-de-kachi ”(気で勝つ)= “Win with you Ki”(気), thus your Seme (攻め)with Ki should be used to win, then your opponent mind/heart will move/stagger, and will be forced to use a technique.

You should drive your opponents initial seme/advancement with your seme. “Win with technique” is sen-sen-no-sen (先先の先)or sen-no-sen(先の先)(being there before the opponent’s technique and mind) and go-no-sen (後の先)(even opponent launches technique, you are able to counter), then technique come in last.
I value the technique when opponent is about to advance, and able to drive a “De-bana-waza”, next would be “suri-age-waza”, and last “nuki-waza”, in that order is important.

Key points are that you should not be so concentrated on nuki, as your feeling become more waiting, and when the opponent advances, then you will raise your hand and/or body posture will crumble, and then you will be striked by your opponent.

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Kendonellemarche

ITA: Quanto secondo Lei è importante l’agonismo nel Kendo per crescere correttamente in questa disciplina?

ENG: How much the competition in Kendo is important to practice the correct Kendo?

Shozo Kato Sensei

ITA: Il significato di un torneo è il risultato/esito della pratica quotidiana e diligente della persona.

Il significato di un torneo non è “I vincitori sono i buoni e i perdenti i cattivi”. Ovviamente, dal momento che si parla di un torneo, aspirare alla vittoria è importante.

Comunque, considerando il Kendo secondo il Budo, l’obiettivo finale è di “ningenkeisei”(人間形成) = “sviluppo del carattere”, combattere in modo leale con l’integrità che serve per raggiungere una vittoria.

Sicuramente questo è l’aspetto più ostico del kendo, ma ne è certamente l’attrattiva maggiore.

Vincere un incontro, in cui il tuo avversario e le persone che assistono sono coinvolte, quella è una vera vittoria.

Anche se si perde un incontro ma con un kendo corretto, forte, bello e con tecniche eccellenti, in altri termini può essere considerato un vincitore.
Quotidianamente, ripetendo tecniche base, in ogni reiho (etichetta, inchino, apprezzamento) facendo il tutto dal cuore, si avrà una crescita del kendo e reiho in modo naturale e bella.
La profondità del vostro allenamento si eleverà naturalmente.
Per esempio, se in un torneo ci sono 400 persone, c’è solo un vincitore.
Quindi, significa che ci sono 399 perdenti?
Nel Kendo/Budo, non credo valga questa chiave di lettura.

ENG: The meaning of a tournament is the result/outcome of the person’s daily and diligent practice.
The meaning of tournament is not “Winners are the correct government force and losers are rebel troops.”
Of course, since it is a tournament, having an objective to win is important.
However, valuing Kendo as a Budo-mentality, ultimate goal of character forming of “ningenkeisei”(人間形成) = “character development”, fighting fair with integrity is the way victory needs to be attained.
That maybe the difficulties of Kendo, however that is also the attractiveness.
By winning a match, in which your opponent as well as people watching the match is moved, then that is a true victor.
Also, even a person loses the match, however their Kendo is proper, strong, beautiful and excellent etiquette, then in another definition they are victors too.
Daily, repeating correct basic techniques, and each and every reiho (etiquette, bowing, appreciation) being done from your heart, then naturally your kendo and reiho becomes beautiful.
The depth of your training will naturally arise.
For example if a tournament of 400 people, there is only one 1st place winner.
Then, does it mean that the rest of the 399 contenders are losers?
In Kendo/Budo, I do not believe that is the case.

credits - Rodney Castillo

credits – Rodney Castillo

Kendonellemarche

ITA: Il Kendo ha una sua misteriosa caratteristica. Quasi sempre i kendoka che superano le prime difficoltà, continuano fino a quando le condizioni fisiche glielo consentono. Secondo lei perché?

ENG: Kendo has a mysterious characteristic. Most of the time after passing the initial difficulties, the Kendoka keep practicing until the physical strength allows it. Why is it that in your opinion?

Shozo Kato Sensei

ITA: Come spiegavo alla domanda precedente, la base del Kendo è ripetere la stessa cosa, continuamente.

Quindi, secondo me, non c’è un riconoscimento per le basi.
Suri-ashi, suburi, kirikaeshi e uchikomi, sono azioni da ripetere anch’esse continuamente.
Si potrebbe pensare, “Voglio gareggiare, come il mio senpai!” o “Voglio fare esami e prendere il Dan presto!”

Credo siano in molti che in cuor loro la pensino così.
Se attrai una persona principalmente su tornei o promozioni in esame e poi fallisce, questa persona probabilmente mollerà il Kendo.
Al fine di perseguire un Kendo bello e corretto, prima di tutto l’insegnante dev’essere l’esempio, e creare senpai così che cerchino anche loro di diventare importanti.
Se si comprende e si viene toccati da questa bellezza, poi si diventa prigionieri del Kendo, come me (LOL).
Il Kendo è per tutta la vita.
Essere attaccati alla vittoria e alla promozione negli esami può portare a lasciare il Kendo quando i risultati non arrivano.
Per esempio, essere anziano o avere problemi fisici, quindi anche la resistenza, etc può essere un problema.
Ci sono però persone con un solo braccio, o senza entrambe le gambe che sono attratte dal kendo e lo praticano tutt’ora.
Dovremmo essere grati di ciò che abbiamo, di vivere pienamente la vita, e sapere che il Kendo c’insegna a comprendere ed apprezzare ciò che siamo ed abbiamo, quindi chi pratica in modo intenso è perchè ha colto la gioia nel farlo.

ENG: As I have may explained in #6, Kendo’s basic is repeating the same thing over and over.
Thus, in my opinion, there is no graduating the basics.
Suri-ashi footwork, suburi, kirikaeshi and uchikomi strike attacks are repeatedly trained over and over again.
One may think, “I want to compete, just like my senpai!” or “I want to test and receive a Dan/Black belt soon!”
I believe most people’s honest belief is such.
Thus, if you attract a person to join based on tournaments or promotions, then if they lose a tournament or fail a promotion, then that person probably will quit.
In order to pursue correct and beautiful Kendo, first the instructor(s) must be the example, and also creating the proper Senpai that they seek to become is also important.
If one can understand and is touched by such beauty, then you will be a prisoner of Kendo, like me (LOL).
Kendo is a lifetime pursuit.
Being tied to winning/losing and promotion, then if the person stops winning, or finds something else attractive, then will depart from Kendo, that is normal.
For example, being elder or have some illness, thus stamina and etc. may have issues.
However, there are those who only have one arm and some people with no legs that are attracted to Kendo and still practicing.
One should be grateful to what they have and live life fully, and know that Kendo provides the means to comprehend the appreciation, therefore one can keep practicing hard because they understand the joy of it.

credits - Rod Farzan Faghani

credits – Rod Farzan Faghani

Kendonellemarche

ITA: Può dirci la sensazione che ha prima e dopo un jigeiko?

ENG: Can you tell us about your sensation before and after jigeiko?

Shozo Kato Sensei

ITA: Prima del Keiko, penso ad un aspetto, e ripeto dentro di me quel tema.
Per esempio, non indietreggiare e tenere il centro, invitare l’avversario per portare debana Men.
Dopo il Keiko, cerco di rivedere se son riuscito a fare quanto volevo. In quel caso, significa che ho fatto il meglio che potevo.

ENG: Before Keiko, I will think of a theme, and repeat that theme in my mind.
For example, not to go backwards and keeping center and drive into the Debana-men.
After Keiko, I review if I was able to conquer the theme, and if so, then I did the best that I could do.

Kendonellemarche

ITA: Veniamo al giorno dell’esame in cui è diventato hachidan. Ci può raccontare la giornata, le sensazioni prima e dopo i jigeiko dell’esame di hachidan?

ENG: What do you remember of the day when you became Hachi Dan?

Shozo Kato Sensei

ITA: Sia dopo la prima che la seconda sessione di esami, sentivo d’aver dato tutto quello che potevo, il mio obbiettivo era questo, dare tutto. Non ho riflettuto su cose come “Come ho fatto quella tecnica” o “Come ho fatto bene con il primo o secondo avversario”, Quando seppi d’aver passo l’esame, ad essere onesto, era come vivere un sogno.
Nel viaggio di ritorno, lentamente fui travolto dalla comprensione, ed ero sì gioioso, ma iniziai a percepire l’immensa sensazione di avere sulle spalle la responsabilità di essere 8°dan.

ENG: After stage 1st exam, and after stage 2nd exam, I felt I did everything I could have done, and my thoughts were that I have given it my all for the entire exam. I did not reflect back to “how did I do on that technique” or “how well I did on first opponent or second opponent”. When I learned that I have passed the exam, to be honest, it was like I was in a dream.
On my returning flight, slowly I was flooded by the realization, and I was joyful, however the responsibilities of 8 Dan can down on me and it was an immense feeling.

credits - James Tourtellotte‎

credits – James Tourtellotte‎

Kendonellemarche

ITA: In cosa è cambiato il suo Kendo dopo aver superato il grado di 8°dan?

ENG: Has your Kendo changed after achieving the Hachi Dan status?

Shozo Kato Sensei

ITA: Come dicevo, dall’eredità e nella responsabilità d’aver conseguito l’8°dan, vedo il mio kendo in modo più severo.
Visto che devo insegnare e guidare altri, devo essere in grado di mostrare sempre il meglio, quindi pratico suburi e uchikomi con molto più impegno di prima.

ENG: Per my previous reply, as inheriting more responsibilities with attaining 8th Dan, I review my Kendo in a harsher way.
As I have to instruct and guide other, I need to be able to show the right way, thus I practice the suburi and Uchikomi with greater effort than before.

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Kendonellemarche

ITA: Il video “The way of Sword” che la vede protagonista è stato visto da tantissime persone. Com’è nata quest’iniziativa?

ENG: The video “The way of Sword” has been seen by many people. How was it thought and realized?

Shozo Kato Sensei

ITA: Sinceramente, quando MB! mi ha contattato, ho pensato fossero intenzionati a girare un film di hollywood sui ninja, quindi inizialmente declinai la loro proposta.
Poi, il produttore m’invio alcuni esempi di film da lui prodotti che ritraevano artisti, ed ho capito che non si trattava di un film sui ninja ma bensì volevano fare un film sul vero Kendo.
Successivamente, mi sono consultato con alcuni miei studenti che sono artisti e scrittori, e decisi di accettare la proposta di MB!
Tuttavia, durante le riprese furono richieste tecniche spettacolari, ed informai lo staff MB! che se di quello si trattava, sarebbe venuto fuori solo un action movie, e così le riprese furono complicate ulteriormente.
Sono un fotografo, e so bene a cosa puntavano di fare.
Nel mezzo di questa confusione, uno dei miei studenti che faceva parte del film, è riuscito a spiegare ad MB! ciò che avevo in mente e siamo così riusciti a finire il film.
Anche durante la fase di editing, le immagini sullo schermo non combaciavano coi sottotitoli e fu un ulteriore complicaizone.
Con tutta la mia capacità ed abilità, non avrei potuto completare un film così meraviglioso.
I miei studenti e la loro passione verso il Kendo, lo staff di MB! ed il loro talento, tutti assieme hanno reso possibile un film del genere.

ENG: Truthfully, when MB! approached me, I thought their intent was to make a Hollywood Ninja film, thus initially I declined their proposal.
Then, the producer sent sample films that he has produced, that showed documenting artists as an example, thus not a Hollywood Ninja film, and they informed that they want to film true Kendo.
Next, I consulted with my students that are artists and news writer, and decided to accept the MB! proposal.
However, during the filming, was asked to do “flashy techniques”, I informed the MB! staff that if such is the case, then only a action movie will be made, thus MB! filming was complicated.
I am a photographer, thus I understand that they are aiming for.
During the mist of this, one of my students that were part of the film was able to have MB! comprehend what I was conveying, and able to finish the film.
Also, during editing, the screen scene vs. translation did not match, thus was a lot of hard work.
With my strengths and abilities, I cannot accomplish such a wonderful film.
My students and their passion towards Kendo, the staff of MB! and their talents, all combined together, thus able to make such a film.

Shozo Kato Iaido USA 1

Kendonellemarche

ITA: Tra le varie attività che ha seguito nel mondo del Kendo, lei ricopre il ruolo di vicepresidente dell’All United States Kendo Federation. Quali sono le attività sulle quali la federazione americana ha posto maggior attenzione?

ENG: Among other responsibilities, you are VP of the All United States Kendo Federation.
Which are the activities the American Federation takes with most care and attention?

Shozo Kato Sensei

ITA: Attualmente (da quest’anno), sono Presidente dell’All United States Kendo Federation Iaido.
Per la crescita e lo sviluppo di nuovi kenshi, per forgiare atleti, c’è un’importante aspetto da considerare sopra gli altri, quello di formare quanti più istruttori possibile.
Non avendo una visione di 2/3 anni, ma pensando in termini di 10, 20 o 50 anni, su come sviluppare e diffondere un kendo forte e corretto, tutto questo richiede un grande impegno da parte mia.

ENG: Currently, (from this year), I am the All United States Kendo Federation Iaido Chairman.
To nurture and develop young Kenshis.To develop strong senshu/players is one important aspect, however the most important is to raise as many true instructors as possible.
Not to have a vision of 2 or 3 years, instead think in terms of 10, 20 and 50 years, how to develop and spread proper/correct, strong and beautify Kendo, need to give my utmost effort for such.

Kendonellemarche

ITA: Qual è secondo lei il miglior strumento di divulgazione del Kendo?

ENG: In your opinion what is the best way to develop and divulge Kendo?

Shozo Kato Sensei

ITA: riflettendo a quanto detto sopra, pensando all’insegnamento oltre ai 10 anni, non essere ingabbiato tra la vittoria e la sconfitta, questo è importante.

Ho chiesto di allenarmi ed ho allenato presso il club della Polizia Metropolitana di Tokyo da ormai molti anni, e le loro basi d’allenamento non sono cambiate da 60 anni a questa parte.

Questo è il modo corretto per sviluppare un kendo forte e aggraziato. Sono sicuro che sia l’essenza per lo sviluppo di un buon kendo.

ENG: Reflecting back to the previous section, to think of a teachings more than 10 years, not to be staggered by the victory/loss in front of you, such instruction are important.

I have asked to train and have trained at Tokyo Metropolitan Police Kendo for many years now, and their basics/training has not changed for 60 years, the Sensei told me.

Thus, the true proper/correct, beautify and strong Kendo will be developed.
I am sure such is essential for the development of Kendo.

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Intervista a “The Garage Creative Studio”

Come molti di voi già sapranno, tra poco più di un mese avrà luogo a Gradara l’evento organizzato dall’A.S.D. Ikendenshin giunto alla sua settima edizione.

La nostra indole è quella di collaborare il più possibile, e farlo con tutte le realtà del territorio della Pesaro Urbino creando una rete affinchè questo approccio valorizzi tutte le parti coinvolte.

Quando dalle nostre parti si parla di rete, il nome di The Garage Creative Studio è il primo che viene in mente. Sono stati infatti Cristiano ed Emanuele le persone che abbiamo contattato per curare la grafica del 7° Trofeo dell’Adriatico ed abbiamo deciso di presentarveli attraverso un’intervista.

Buona lettura!

The garage creative studio pesaro kendo 1

Kendo nelle Marche: Ciao ragazzi, ci conosciamo ormai da qualche anno ed ho avuto modo di apprezzare il vostro lavoro in diversi ambiti. Quando abbiamo iniziato a pensare alla 7° edizione del “Trofeo dell’Adriatico” di Kendo, volevamo rivolgerci ad uno studio creativo che potesse darci qualche input e guidarci meglio nella comunicazione. Il vostro nome è stato il primo che mi è saltato in mente ed ho subito pensato di proporlo ad i miei compagni di dojo, soprattutto per via della vostra particolare attenzione alle realtà che vi circondano, all’importanza che date nel fare rete tra associazioni. Da cosa dipende quest’approccio?

The Garage Creative Studio: Bella domanda. Dunque, credo dipenda dalla nostra natura, che poi è la stessa del nostro lavoro. Un po’ lo dice il nostro nome (The Garage Creative Studio is Open24hours™). Vivere con curiosità e riportarne gli input in ciò che facciamo. Il nostro lavoro ha spesso un’ispirazione esterofila, un po’ retrò, ma i contenuti, la spinta e le dinamiche vengono dalle nostre esperienze e dal legame con la nostra terra, che è molto più ricca di quel che non si creda. Vivere la nostra città ci aiuta a capirla meglio. Capirla meglio vuol dire poterla raccontare in maniera appassionata ed oggettiva. La dimensione è quella del garage che per entrambi (Lele e Cristiano) è stato il primo luogo di trasformazione delle cose.

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K.N.M.: Pesaro è una città con un grande potenziale, ma spesso è poco sfruttato. Siete stati tra l’altro i primissimi ad aver introdotto il concetto di coworking. In cosa consiste e come sta andando questo progetto?
T.G.C.S.:  Verissimo. Pesaro è una città davvero molto ricca, poco conosciuta dai suoi stessi abitanti. Strana storia. Non riconoscersi vuol dire non potersi raccontare. Purtroppo il coworking è defunto a dicembre 2014. E’ stata un’esperienza molto utile, di cui abbiamo esportato alcune linee nella nostra nuova sede. Ma il “cowo” è un’entità complessa che richiede più energie di quelle che noi possiamo spendere oggi. Ma non rinneghiamo nulla. E’ stata un’esperienza molto utile e resta una cosa molto importante che a Pesaro, di nuovo, manca. In questo senso crediamo che l’amministrazione comunale debba sostenere imprese no-profit di questo tipo.
The garage creative studio pesaro kendo 2 samurai
K.N.M.: Siete stati presenti a Lucca Comics & Games, la rassegna dedicata all’arte del fumetto, all’animazione in genere e tanto tanto altro. Com’è andata?

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