Kendo nelle Marche


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Gemellaggio Rakushikan – Seishinkan. 1° Parte

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Non mi sembrava il vero, il sogno di ogni kendoka si stava avverando, partenza per il Giappone!
La bella notizia è arrivata verso Marzo/Aprile, il Dojo del nostro Maestro Stefano Betti, il Seishinkan di Bologna avrebbe ricambiato la visita del gemellaggio avvenuto nel 2010 e ha dato a noi di Ikendenshin l’opportunità di partecipare, un po’ per lavoro, un po’ per la famiglia, son stato l’unico ad avere l’onore e la fortuna di partecipare, conferma all’istante e acquisto immediato del biglietto.

Ci ritroviamo puntualissimi la mattina del 3 ottobre a Bologna per la prima tratta del volo in direzione Roma, dove nell’attesa incontreremo gli amici dell’ARK di Roma anche loro in trasferta kendo ma per Belgrado.
Il viaggio con Alitalia si risolverà in “sole” 12 ore (!!!) con atterraggio ad Osaka con terzo ed ultimo volo direzione Fukuoka, al ritiro dei bagagli sul nastro vedo con la coda dell’occhio una mano che saluta, era il Maestro Hisashi Otsubo con gli altri amici del Rakushinkan che ci stavano già aspettando, ci hanno riconosciuti subito dissi tra me e me, sicuramente merito della foto postata in tempo reale sulla nostra pagina facebook, o forse perchè eravamo gli unici 6 occidentali in quell’aeroporto? 😀

Alessio Chirieleison © 2014

Alessio Chirieleison © 2014

Già dal nostro arrivo la tabella di marcia è molto fitta e ricca di impegni, di doveri e di piaceri, il nostro primo step è una visita presso l’ufficio della Prefettura di Fukuoka, un breve pit-stop nei bagni dell’aeroporto e un pisolino nel breve tragitto in auto ci rimette in sesto, per l’occasione avrò l’onore di indossare l’alta uniforme del Seishinkan, nel frattempo si uniscono a noi i 2 elementi mancanti, Elisabetta e Aldo di Piacenza, ora siamo davvero al completo, 7 samurai al servizio di Stefano 😀

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Come avrò modo di constatare in seguito in Giappone ovunque si vada si è sempre ospiti graditi, trattati con alto riguardo e rispetto, ci presentiamo all’ufficio con un ottimo giapponese (si, certo) un breve scambio di chiacchiere e finalmente si fa il check-in in Hotel a Ogori.

Alessio Chirieleison © 2014

Alessio Chirieleison © 2014

Anche qui i tempi sono ridottissimi, giusto una rinfrescata e in pochi minuti siamo già di sotto, una scuderia di auto nipponiche ci attende per una di quelle che si rivelerà tra le mete più ambite di questo viaggio: LA RISTORAZIONE!

Siamo al primo piano di un ristorantino tradizionale della città, l’accoglienza è calorosissima, ci sbarra la porta il Maestro Nakano con dei misteriosi bigliettini bianchi, si riveleranno in seguito dei segnaposti, assegnati casualmente di modo da mescolarsi più facilmente e non ghettizzarci come siamo soliti fare noi italiani, siamo all’interno di una sala da pranzo tradizionale a sedere sul tatami, la tavola e imbandita e birra e sakè non tarderanno a scorrere con disinvoltura, in questa recensione non mi dilungherò a parlare di cucina (chi mi conosce sa che è un grosso sacrificio per me) ma va menzionato un highlight, tra le varie pietanze abbiamo avuto l’opportunita e il lieto fine di assaggiare il temutissimo FUGU! Privato della sua letale tedrodotossina 😀

E nonostante tutto la sveglia è alle 7 di mattina, nonostante il fuso orario abbiamo dormito tutti come sotto l’effetto di una potente neurotossina, sarà stato il fugu? No problem, la nostra agenda prevede la cerimonia di apertura e il primo allenamento alle 9 presso IL Dojo dove il nostro allenamento sarà seguito dal quotidiano Nishi Nippon Shimbun che ci dedicherà un articolo, finalmente i piedi su un vero parquet un vero pavimento per praticare il kendo, legno levigato a pelle per decine di anni, quasi un tappeto elastico per un entusiasmante ora di jigeiko di altissimo livello (per noi), la media era di un 7dan a testa, cosa volere di più?

FINE PRIMA PARTE


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New Dojo: Kendo Cittadella

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Come ogni evento che si rispetti, è stata una giornata lunga ma ne è valsa la pena.
Sveglia alle 6:30 per partire alla volta di Cittadella nel Padovano, in occasione del neonato Dojo degli amici Gabriele e Francesco.

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Come potete vedere dalle foto una palestra incredibile, grande, accogliente e con tanto parquet, ma la sorpresa più grande è stata per la partecipazione, 19 kendoka, talmente alto il numero dei Maestri presenti che di fronte al kamiza eravamo praticamente già a coppie.

La lezione è stata condotta da Lorenzo Zago, un allenamento “morbido” volutamente più un incontro tra amici che altro, si è partiti con un po’ di kirikaeshi, uchikomi per un quarto d’ora e poi un’ ora di jigeiko libero, dato il tempo a disposizione e il numero dei partecipanti è stato praticamente possibile praticare tutti con tutti, inoltre sul finale la fortuna di ammirare alcuni jigeiko di ottimo livello tra gli altri gradi presenti.

Foto di rito, ringraziamenti e l’ospitalità cittadellese non si è smentita con un pranzo luculliano a base di carne nostrana presso il raffinato agriturismo “Le Calle“, le aspettative del sottoscritto non son state deluse da una variante vegetariana del menù.

 

La giornata si è piacevolmente conclusa nel cortile all’ombra tra chiacchiere e aneddoti di 40 di kendo in italia, ma questa è un altra storia 🙂

Se siete in zona Cittadella e volete praticare kendo non esitate a contattare Gabriele Martin o Francesco Cerantola al link qui sotto 😉

www.facebook.com/kendocittadella

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Domani riprende il corso di Kendo a Pesaro che abbiamo presentato qui 😉


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Kent Williams

Kent Robert Williams, è un pittore e illustratore statunitense, volevamo condividere con voi la sua incredibile ultima opera olio su tela:

NAKAZAWA: FULL CIRCLE, 2014, oil on canvas, 40×30 in., 101×65 cm.

Non nuovo al panorama nipponico, si è occupato della cover del bluray di Rashomon, capolavoro di Akira Kurosawa.

Non dimenticate un MI PIACE alla sua pagina facebook! 😉

 


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Jukendo nell’Albania Socialista (?)

Anno 1979, l’attuale dittatore Enver Hoxha concede per la prima volta dopo 35 anni a una troupe televisiva straniera di entrare all’interno della blindatissima Repubblica Popolare Socialista D’Albania.
All’inizio del suddetto documentario, all’interno dell’Istituto di Educazione Fisica di Tirana, un gruppo di studenti in occasione della visita dei reporter si esibisce in attività ginnico militari, la cosa curiosa è al minuto 0:34 dove un gruppo di ragazzi in una sorta di bogu, completo di tutte le sue parti, in una versione oserei dire “Occidentalizzata”, si esibisce in quello che noi conosciamo sotto il nome del Jukendo. Si, i fucili con la baionetta li hanno in tutto il mondo, ma vedere una cosa del genere in uno stato che fu letteralmente isolato dal mondo per tutti quegli anni lo trovo al quanto bizzarro.
Tra l’altro parliamo di uno dei pochi stati in Europa dove verosimilmente il kendo non ha ancora preso piede, forse qualcuno mi smentisce.
Il tutto, vuole essere solo una curiosità o magari solo una supposizione personalle, per chi fosse curioso di approfondire e visionare l’intero documentario, ecco il link, se no saltate a 0:50 per vedere il fatto in dettaglio.

Prime informazioni sul Trofeo dell’Adriatico 2014 al seguente link

https://kendonellemarche.wordpress.com/2013/12/01/ikendenshin-15-16/


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Racconto di una prima lezione di kyudo a Tokyo

Ciao a tutti i visitatori e i partecipanti al blog, sono Bettina, amica di Davide, e su suo invito scrivo qui la mia esperienza con il Kyudo, la splendida arte giapponese del tiro con l’arco.
Mi trovo a Tokyo da quasi un mese, sono partita un po’ allo sbaraglio ma carica di voglia di trovare un piccolissimo posto in questa città che amo. E mentre come una trottola impazzita percorro km su km a piedi e in metro per conoscere persone che qui sono riuscite ad aprire una loro attività, a restare per molti anni e a lavorare, cerco di ritagliarmi tempo anche per me, visitando parchi meravigliosi che lasciano senza fiato e piccoli templi nascosti fra i palazzi.

Tokyo Tower ©Bettina Giannini

Anni fa ho frequentato un corso di tiro con l’arco istintivo a Montegiardino, dietro Sanmarino. Ho seguito le lezioni per qualche anno e partecipato a numerose gare.
Si usano archi storici, ricurvi e longbow. Non ci sono mirini, bilancieri, gli archi sono in legno così come si preferirebbero le frecce, anche se in palestra per praticità usavamo quelle in carbonio, vista la facilità con cui quelle in legno si rompono. Ogni arco è fatto a mano da un artigiano, quindi ognuno tira diversamente da un altro, bisogna prenderci un po’ la mano, conoscerlo, e diciamo che non si “mira”esattamente, perchè è più un imparare a governare la propria arma e il proprio respiro. Non si hanno grandi punti di riferimento, e le gare si svolgono in boschi dove i terreni non aiutano, così come le condizioni climatiche o le sagome degli animali spesso nascoste dalla vegetazione.
Detto questo, non potevo essere qui in Giappone senza pensare al kyudo.
Volevo trovare qualcuno che fosse disposto a lasciarmi provare.
So che è diverso dal ricurvo che ho sempre utilizzato, ma forse come spirito molto più vicino al tiro con l’arco istintivo che non al tiro con l’arco che si vede alle olimpiadi, che a mio parere è al pari di un fucile…
Nonostante un stop iniziale, dovuto all’incontro con persone che non mi hanno dato neanche il tempo di esporre quello che cercavo, non mi sono data per vinta e ho visitato un negozio a Ootsuka (Yamanote line, stazione dopo Ikebukuro), Asahi Archery è il nome, dove ho trovato una gentilissima ragazza che parla inglese e che mi ha dato un volantino con mappa per raggiungere la vicinissima palestra dove sono andata a chiedere altre informazioni.
È una palestra credo comunale, non saprei riportare il nome perché il volantino è interamente in giapponese con troppi kanji per me!
Raggiungibile a piedi dalla stazione jr di Ootsuka in 10 minuti. Ha campo da calcio, da baseball ed all’interno vi è questo piccolo spazio dedicato al kyudo. Lezione di 3 ore, per 400¥, che sono circa 3€, affitto dell’arco 150¥, niente in pratica.
Nessuno parla inglese, e qui, ovunque, funziona che ti parlano in giapponese come se fosse la tua seconda lingua, quindi velocemente è senza preoccuparsi troppo se capisci una parola ogni mezz’ora.
A differenza del posto precedente (n.d.r.: vi fu una precedente disavventura in un altro dojo, dove fu praticamente buttata fuori 😀 ) tutti si sono rivelati immediatamente gentili e disponibili. Ad allenarsi c’erano 3 ragazze, 2 uomini e qualche donna. Un maestro e 2 o 3 maestre, difficile dirlo ma erano loro che aggiustavano, per così dire, le posizioni e i movimenti di chi era lì per tirare.

Dentro il Dojo ©Bettina Giannini

Mi hanno dato un arco e mi hanno insegnato come si impugna, mi hanno fatto vedere come e dove vanno posizionate le dita, e rispetto al ricurvo è completamente diverso: la mano che tiene l’arco non lo stringe saldamente come ero solita fare, ma si abbraccia l’impugnatura con delicatezza (che rispetto ai nostri storici è molto sottile), si appoggia l’arco sul finire del palmo della mano esattamente prima delle dita, i polpastrelli delle ultime tre dita (a partire dal mignolo) poggiano su una piccola porzione di arco, si chiude col pollice e l’indice rimane libero. Questo di primo acchito non rende la presa facile, certamente con la pratica sarà diverso, ma si ha la sensazione di non avere salda l’arma nelle mani. In realtà rende la presa moto bella da vedere, e permette all’arco, una volta scoccata la freccia, di oscillare e girarsi con movimento fluido e non secco.
Il caldo di questi giorni non aiuta perché personalmente avevo le mani perennemente sudaticce e sentivo scivolare la presa.
Sono stata fatta spostare nel momento in cui sono arrivati tutti i partecipanti alla lezione e ho potuto guardare l’intero svolgimento di un tiro, più e più volte.
È splendido, una danza, simmetria e disciplina. Durante le 8 forme che portano al tiro, ho visto i maestri correggere ogni minima cosa, testa appena bassa, freccia durante il saluto impugnata troppo indietro, pugno non posizionato bene sul fianco, gomito appena più alto…
Sembrava che correggessero un quadro. Si vedeva che alzavano e spostavano dove la simmetria o i parallelismi non erano perfetti. Senza dubbio l’importanza è focalizzata sulla forma e la “danza” che porta al tiro.
Un gruppo di 4 persone alla volta si posizionava per il tiro, ed è bellissimo vedere che uno alla volta, con pochi secondi di distanza, calcolati e precisi, si susseguono nelle forme per poi tirare. Mentre il primo si appresta a scoccare, il secondo sta per posizionarsi in tensione per il tiro, il terzo sta agganciando la freccia e il quarto prende solo posizione. Allo stesso modo, uno alla volta, finiscono. Fantastico.
La difficoltà maggiore per quel che mi riguarda, a parte sicuramente tutti i movimenti eleganti che portano al tiro e che ovviamente ho appena conosciuto, è tendere l’arco. Nel tiro istintivo ci vuole certo un po’ di forza per tendere l’arco, ma il braccio che lo tende puó scaricare per così dire lo sforzo sul polso e il gomito una volta che si è raggiunta la massima tensione.
La difficoltà che ho provato oggi è riuscire a tendere un arco (peraltro molto lungo e quindi quando si è sotto sforzo difficile tenerlo dritto e fermo se si è fuori allenamento) lontano dal petto e in alto, il tutto con posture che devono essere morbide e fluide. Il movimento principale, quello in cui si comincia ad aprire l’arma mi ha ricordato moltissimo la postura delle ballerine di danza classica, il classico congiungimento delle dita con le braccia che creano un ovale. In quella posizione è piuttosto difficile tendere la corda.
Anche solo il fatto di dover dare più spazio all’apertura dell’arco rende la cosa più complicata: nel tiro con l’arco istintivo la corda si tende fino all’angolo della bocca, si appoggiano letteralmente le dita che tendono la corda alla fine delle labbra. Questo permette anche di fermarsi qualche istante e spostarsi volendo.
Nel kyudo l’apertura è maggiore, l’arco è così lungo che non potrebbe essere altrimenti, questo significa che la mano che tende la corda arriva fino alla spalla senza toccarla, più difficile quindi sentire il punto perfetto e anche mantenere una posizione del gomito esatta (con la corda alla bocca viene abbastanza naturale avere il gomito parallelo a terra).
L’impugnatura stessa della corda è molto più difficile: nel nostro tiro con l’arco la corda viene tesa con indice, medio e anulare, incastrandola a mo’ di grilletto nella seconda falange, fra due dita insieme alla corda c’è la scocca della freccia. Nel kyudo i guantini di protezione sono estremamente più spessi dei nostri e la punta delle dita (in questo caso indice, medio e pollice) sono ulteriormente protetti da qualcosa di rigido come un guscio all’interno della pelle del guanto. Questo rende meno sensibili le dita, la presa della corda è affidata principalmente a una sorta di “callo” nella pelle del guanto, alla base del pollice, e le altre due dita semplicemente stringono sul pollice per non far scivolare via la corda.
Non si tiene la corda stretta fra le dita quindi, ma stretta nell’incavo del pollice.
Ci sono tante altre differenze, senza contare tutta la parte di forma e di movimenti che si unisce al tiro.
In generale è bellissimo, da vedere e immagino anche da eseguire correttamente! Mi hanno detto di tornare, spero non sia solo uno dei solito modi di fare stra-gentili che hanno qui, ma che abbiano realmente piacere di riavermi.
Credo fossero tutti piuttosto divertiti da questa occidentale spilungona che chissà come è finita in questa palestra fuori mano, le ragazze ridacchiavano quando vedevano i maestri affacendarsi a spiegarmi un po’ tutto con un giapponese che non capivo. Ed emettevano i loro gridolini classici di gioia e sorpresa quando mi vedevano provare a eseguire le posizioni e a tirare, è stata una bellissima esperienza e voglio sicuramente tornare.
L’aneddoto più divertente: il maestro, questo signore anziano, basso e con un po’ di gobba, mi ha seguito per una mezz’ora, era molto più serio e severo delle maestre (anche se poi quando sentiva le ragazze ridacchiare per come mi trattava, rideva anche lui di sè stesso), e mi parlava senza mai smettere. Non capivo nulla, cioè… finché mi faceva capire come spostare parti del corpo va bene, ma quando si scostava e parlava senza smettere non capivo cosa voleva che facessi. A un certo punto mi ha messo nella posizione per tirare, freccia incoccata, tesa al massimo, mani che sudavano, sentivo scivolare l’impugnatura, la corda stretta nel pollice senza sapere quanto avrei durato in quella posizione… E lui mi spostava un dito di un centimetro, e poi il gomito più parallelo a terra, il polso più morbido, e poi parlava parlava e borbottava e non sapevo cosa diceva, non smetteva più, voleva che cambiassi ancora qualcosa o che tirassi?? Alla fine ho scelto la seconda perché temevo che mi sarebbe esploso il colpo senza volere. Aaaahhh!!!! È impazzito! Mi ha sgridato non so in che modo nè perché, ha sbraitato e le ragazze ridacchiavano mentre io ero mortificatissima, ma mi stavano per cadere le braccia dopo 5 minuti che rimanevo ferma in tensione (vestita poi a sufficienza per coprire tutti i tatuaggi stavo morendo di caldo… Avete presente l’assordante rumore delle cicale dei cartoni animati che evoca il caldo? Ecco, uguale).