La domanda che mi faccio alla fine di ogni kangeiko, ma anche quella dopo ogni evento di kendo, è: “che cosa resta?”
In questo caso la risposta potrebbe essere riassunta da tante immagini, il kamae del Maestro Sakudo Masao e il suo modo di muoversi e porsi davanti a noi, le parole del Maestro Hanazawa Hiroo nella mattinata prima degli esami o nella pazienza e il viso sereno del Maestro Nasu Nobuo. Oppure ancora nella volontà di tutti e tre i maestri di trasmetterci qualcosa di più che fosse una conoscenza tecnica, ma qualcosa che andasse a incidere sulla “qualità” complessiva della nostra pratica.
Come ha giustamente ribadito Sakudo Sensei alla fine dei due giorni, il nostro non è propriamente un kangeiko come lo intendono in Giappone: sveglia all’alba: 50 minuti di kirikaeshi, 50 minuti di kakarigaeko/uchikomi, 50 minuti di jigeiko. Tutto questo per 15 giorni all’inizio di gennaio. Il poco tempo a disposizione ha portato i maestri a impostare il seminario in maniera differente.
Trovandosi di fronte un folto gruppo di persone adulte, è stato dedicato uguale tempo a insegnamento verbale, pratica di kata e allenamento in armatura. All’inizio dei tre blocchi in cui era stato diviso il week end si sono svolte delle vere e proprie lectiones magistrales.
Sono stati affrontati temi di grande attualità, come l’educazione dei bambini e di come anche la federazione giapponese si stia adoperando in questi ultimi anni al fine di suscitare il loro interesse nei confronti del kendo. In particolar modo si è parlato di come una corretta educazione sia all’interno del dojo che nella mura scolastiche porti alla formazione di cittadini che possono contribuire al miglioramento della società. In breve, partendo dalla postura, questa pone l’individuo in una condizione psicofisica diversa, molto più propensa all’ascolto e alla partecipazione. Così come lo sviluppo della voce come strumento di affermazione e rappresentazione della propria coscienza di se all’interno del contesto. Questi due aspetti li ritroviamo anche all’interno del kendo, una corretta shisei costruisce un kamae solido e forte, e una voce chiara pone l’individuo in una condizione di esprimere senza timore il proprio ki attraverso il kiai.
Tuttavia è una corretta respirazione che ci consente di costruire tutto quello detto in precedenza. Prima di iniziare la parte dedicata ai kata nella mattinata di sabato Sakudo ha mostrato come impostare una respirazione “addominale” che ci permette di rilassare la parte superiore del corpo e convogliare la tensione nella parte inferiore, in modo da “tagliare con il corpo” e non con le braccia.
Si sono formati poi tre gruppi in base al grado: 1°kyu, 1° e 2°Dan (a sinistra), 3° e 4°Dan (al centro), 5°e 6° Dan (a destra), ciascuno seguito da un Maestro.
Nel pomeriggio stessa divisione dei gruppi, ma con un focus sulla parte in armatura e un programma diverso a seconda dei gradi. Infine uchikomi e jigeiko con motodachi e poi combattimento libero.
Nella mattinata di domenica ha preso la parola il Maestro Hanazawa illustrando i punti focali del giudizio espresso dagli esaminatori durante gli esami:
- Indossare correttamente vestiario e attrezzatura.
- Eseguire rei in modo corretto.
- Avere un kamae solido e pieno di energia.
- Entrare in relazione con il proprio opponente.
- Mostrare ri-ai, ovvero logica nell’attaccare.
- Esprimere seme costruendo l’azione.
- Colpire con ki-ken-tai e dare sae al colpo.
- Esprimere zanshin.
Dopo questa spiegazione (molto più articolata di quelle che possono essere queste poche righe di cronaca) si è di nuovo praticato kata divisi per gruppi e infine men in testa e via di kirikaeshi e jigeiko con i motodachi. Per finire con venti minuti di jigeiko libero.
Nel pomeriggio si sono poi svolti gli esami di passaggio di grado dal terzo al quinto dan; rivolgete i vostri occhi ai tabelloni della CIK o alle vostre bacheche di facebook per vedere chi è passato o meno.
Mi vorrei invece soffermare su una cosa rara e di grande importanza avvenuta alla fine di tutto il seminario, una volta esposti tutti i fogli con i risultati e (ahimè) con alcuni degli esaminandi non promossi che erano già andati via, il maestro Hanazawa ha fornito un resoconto su quello che la commissione giapponese aveva visto durante gli esami, spiegando i motivi che li avevano portati a bocciare e quelli invece (già spiegati al mattino) che hanno riscontrato nei promossi. Con una raccomandazione per tutti: migliorare il ki ken tai, spiegando come sia molto difficile svilupparlo correttamente e di come anche lui abbia fatto fatica a consolidarlo nei suoi anni di pratica.
Concludo il resoconto con una frase di Sakudo: