Ci presentiamo.
Siamo kendoka, kenshi, praticanti di arti marziali. Un popolo variopinto che comprende atleti, amatori, cultori dell’oriente, donne e uomini che hanno scelto di dedicare la propria vita alla Via o, molto più spesso, persone immerse nel proprio quotidiano che riescono a riservare qualche ora settimanale per qualcosa di prezioso. Eterogenei su tutti gli aspetti: età, sesso, professione, scolarizzazione e quant’altro ci possa venire in mente. Omogenei certamente da un punto di vista: la passione per il Kendo. Perché il Kendo o lo ami o ti è estraneo.
Presentare il nostro interlocutore non è così semplice. Come spesso accade per i professori universitari, Leonardo Vittorio Arena, ha un curriculum a più pagine, wikipedia ci indica che ha sua una “Visione filosofica” e nella stessa frase c’è di mezzo Nietzsche!
Io, che di Nietzsche ho sentito parlare solo in una canzone di Zucchero, ho conosciuto il professore grazie ai libri “Samurai”, “Il Pennello e la Spada”, “Hagakure”.
Con i miei tempi, al terzo libro mi sono interrogato sulla vita dell’autore e, oltre a tante le informazioni interessanti, tra Zen e filosofia, ho scoperto una cosa interessante: Leonardo Vittorio Arena abita a Porto San Giorgio!Non perdiamo altro tempo quindi! Questa coincidenza non poteva passare inosservata ed è stata la scintilla che ha acceso quest’intervista, diamoci dentro!
Con i miei tempi, al terzo libro mi sono interrogato sulla vita dell’autore e, oltre a tante le informazioni interessanti, tra Zen e filosofia, ho scoperto una cosa interessante: Leonardo Vittorio Arena abita a Porto San Giorgio!Non perdiamo altro tempo quindi! Questa coincidenza non poteva passare inosservata ed è stata la scintilla che ha acceso quest’intervista, diamoci dentro!
K.N.M.: La mia presentazione è quella che è, ci dice qualcos’altro su Leonardo Vittorio Arena?
L.V.A.: Sarebbe una presentazione lunga e difficile. Tuttavia, la mia vita interiore è molto più importante di quella esteriore. Le mie pubblicazioni vertono tutte, aldilà dei temi, sulla mia visione filosofica che riguarda il nonsense e il nudo. Cerco di descrivere le cose come sono aldilà dei nostri schemi antropomorfici interpretativi. Ho scritto il primo volume di una mia autobiografia, che tratta le mie principali fonti di ispirazione: Nietzsche, lo zen e Bob Dylan. Un e-book acquistabile su Amazon. Aggiungo che ho coltivato la musica quasi con la stessa passione e interesse della filosofia e suono in diverse formazioni che si occupano tutte dell’improvvisazione radicale, raccolte sotto le denominazioni di Atman sound project e Mumachine. Altro? Sì: ho una produzione letteraria sterminata, come si può leggere su Wikipedia, alla mia voce, cui rimando. Cerco di applicare la mia visione filosofica a uno stile di vita: un insegnamento che ho mutuato soprattutto dalla filosofia dell’estremo oriente, cinese e giapponese, il Chan, il taoismo e lo zen.
K.N.M.: Ci deve essere stato un momento della vita in cui ha volto lo sguardo all’oriente, allo Zen. Com’è successo?
L.V.A.: Sono partito dalla filosofia indiana, dall’interesse dei Beatles per la meditazione. In quel momento, negli anni 60, tutto sembrava portare a una fusione tra la musica, la filosofia e l’oriente. Lo zen è stato la tappa principale di questa ricerca, scoperto per caso attraverso un libro di Allan Watts all’edicola della stazione ferroviaria di San Benedetto del Tronto. Come tanti ho cercato una nuova religiosità o una concezione spirituale nell’estremo oriente.
K.N.M.: Chiedendo, leggendo, informandosi… alla domanda “Cos’è lo Zen?” le risposte spesso sono state: “Il vuoto all’interno del contenitore.”, “Tutto, quindi Nulla.”, “Quel che rimane quando hai tolto il resto” (questo forse era il Tao), “Dormire quando si è stanchi, mangiare quando si ha fame”. Con il tempo ho capito molte di queste risposte, ma c’è stato bisogno di studio. Esiste una risposta più semplice ed immediata? (dopo tutto siamo rudi guerrieri)
L.V.A.: Cercare di diventare soltanto quello che si è, qualsiasi cosa sia. Per poi scoprire che lo siamo già. Criptico, ma mirato.
K.N.M.: in qualche maniera lo Zen è risultato ben fruibile per il Samurai. Ma il Buddismo ha un insieme di precetti che non sembrano combaciare con il quotidiano di chi vive di Spada. Com’è stata gestita questa contraddizione?
L.V.A.: Accettandola fino in fondo, accogliendo ciò che era compatibile e cercando di rielaborare il resto. Nello zen non c’è un’etica normativa, quindi non è stato difficile dal punto di vista storico. O meglio, in un certo zen non c’è un’etica normativa, ed è questo che ha interessato i samurai: l’immediatezza, la spontaneità, il non pensiero e l’assenza di significato della vita e del mondo.
K.N.M.: introduciamo un’altra parola famosa: “il bushido”. La colonna portante di questo codice sembra essere il Confucianesimo, c’è anche dello Zen? Dove?
L.V.A.: Il confucianesimo si interessa dei rapporti interpersonali, tra il signore e il samurai, all’interno del nucleo familiare e della società. La fedeltà e la lealtà dovrebbero essere i pilastri dell’etica del samurai. C’è stato un periodo, sia in Cina che in Giappone, che il confucianesimo ha acquistato tratti zen, attraverso la meditazione e il guardare dentro la propria natura, la cerimonia del tè e la capacità di produrre poesie in stile zen come un certo haiku.
K.N.M.: quindi, tirando le somme (ricordiamolo, siamo pragmatici), quali sono i punti d’incontro tra l’uomo della Spada e lo Zen?
L.V.A.: Si può vivere della propria arte, sia la scherma o la meditazione. L’atteggiamento è sempre il medesimo: l’egocentrismo viene messo da parte. L’eleganza dello stile può essere un valore di riferimento sia per il meditante che per il samurai.
K.N.M.: nei suoi libri fonde, con maestria, la narrativa alla saggistica. Ci racconta aneddoti che spesso hanno famosi samurai, monaci o maestri del tè come protagonisti. Ce ne racconta uno?
L.V.A.: La ringrazio di questa osservazione. Mi prefiggo esattamente questa fusione con i miei libri, e non riesco a concepire le due sfere come separate: lo si vede in tante opere letterarie sia in Cina che in Giappone. L’aneddoto migliore riguarda Rikyū, il maestro zen della cerimonia del tè. In previsione della visita di un illustre personaggio, un suo allievo pulisce il sentiero dove questi dovrà passare. Rikyu se ne accorge, e fa cadere di proposito sulla strada le foglie degli alberi. Il terreno acquista una qualità wabi/sabi, imperfetta e polverosa: una estetica che ha il compito di far notare la pienezza della vita e la sua disarmonia, di contro alla estetica occidentale del perfezionismo.
K.N.M.: saltiamo ai giorni nostri. In oriente come in occidente, che fine ha fatto il bushido? Lo zen? I samurai? (Quest’ultima domanda forse potrebbe rivolgerla lei a noi)
L.V.A.: Riguardo al bushido, la giro a voi, anche perché mi sto accorgendo che sto parlando troppo. Dal punto di vista storico i samurai sono stati messi fuorilegge durante la restaurazione dell’epoca Meiji. Ho scritto un libro sui kamikaze giapponesi dell’ultima guerra mondiale, osservando come i loro ufficiali principali provenissero da famiglie di samurai, e fossero impegnati del loro spirito. Quanto allo zen, ho avuto numerosi contatti con alcuni esponenti in Italia, organizzando convegni e seminari. Come in tutti i casi di diffusione del buddhismo, lo zen in Occidente si è contaminato con altre correnti, come il cristianesimo. Mi astengo da altre considerazioni generiche e approssimative; auspico che lo zen possa recuperare il suo spirito primigenio, rifuggendo dal dogmatismo e dalla liturgia – un discorso che vale per ogni forma di buddhismo in occidente o meno.
K.N.M.: Chi pratica Kendo, dopo un breve periodo, si accorge che la sua pratica potrebbe concentrarsi esclusivamente nel progressivo miglioramento nell’esecuzione di un singolo taglio, quello alla testa, il “men”. Un praticante di Taiko (del Fudentaiko) mi ha insegnato che l’obiettivo della sua disciplina si riassume nella riprodurre un suono perfetto, nella tecnica base: il “don”. Si può dire lo stesso per le altre discipline di origine Giapponese? Dove ci porta questa ricerca della perfezione?
L.V.A.: C’è una ricerca della perfezione, ma secondo l’aneddoto surriportato. Si tratta di schemi diversi, rispetto a quelli occidentali della prestazione. Tuttavia, a volte si può cadere anche in questi. Ma il wabi/sabi dovrebbe essere rispettato: la perfezione dell’imperfezione. Il pericolo del perfezionismo potrebbe essere il manierismo e l’insincerità: valori che ci allontanano dallo zen, dal confucianesimo e dal taoismo.
K.N.M.: Lei pratica meditazione. Zazen? Se è possibile chiederlo, perché? Anche questa pratica, dove la porta? Dove ci porterebbe se la scegliessimo anche noi?
LVA: Pratico la meditazione e organizzo corsi di una tecnica che ho mutuato dal buddhismo e dal sufismo, nella cornice della psicologia dinamica, disciplina che ho insegnato. Ho una formazione psicoterapeutica. La meditazione mi aiuta nel mio lavoro di insegnante universitario, nella pratica della musica, nei rapporti interpersonali: in qualsiasi campo. Non credo nell’adozione di posizioni prestabilite, e questo mi discosta dallo yoga e da una adesione rigida allo zazen. La meditazione è utile per qualsiasi disciplina o forma di apprendimento.
K.N.M.: Infine, tra le sue pubblicazioni, oltre a quelle già citate che personalmente invito tutti a leggere, c’è qualcosa “fatto apposta per noi”?
L.V.A.: Il mio e-book: Sunzi: L’arte della guerra per conoscere se stessi. Avevo già tradotto per Rizzoli l’arte della guerra, l’opera di Sunzi. Davo per scontato che il lettore potesse applicarne i principi alle sue diverse attività. In questo e-book compio io questo lavoro per lui, anche in seguito alle richieste pervenutemi. L’opera di Sunzi è stata studiata dai samurai in ogni periodo della storia del Giappone, ed è la base di qualsiasi altra opera strategica estremo-orientale. In un volume pubblicato da Rizzoli, sull’arte della guerra e della strategia, ho tradotto e commentato i principali scritti sul tema cinesi e giapponesi.
KNM: La ringrazio per il suo tempo e par aver dato seguito a questo interlocutore probabilmente diverso da quelli con cui è abituato a conversare. Quella di crescere, imparare, migliorare è una nostra ossessione: ci saluta con qualcosa di cui possiamo far tesoro?
LVA: È la domanda più difficile. Ci dormo sopra e domani mattina le scrivo la risposta…(Dopo il sonno) Uscire dagli schemi e adattarsi alle situazioni.