Oggi facciamo un piccolo flashback per raccontarvi il seminario tenuto da Sakai Yasuhiko (Kendo 7° dan) grazie all’organizzazione dagli amici toscani di Lucca. Il bel racconto lo dobbiamo alla nostra amica Laura Formiga dell’EKK di Verona che ci riporta di un interessante ed insolita lezione…
Quest’anno lo stage si è incentrato sullo studio del tame e di conseguenza anche del seme. Molto tecnico e davvero interessante.
Purtroppo le incessanti piogge di sabato notte hanno portato all’esondazione di alcuni corsi d’acqua della zona, cosa che ha reso inagibile l’area dov’era situata la palestra, rendendo impossibile per ovvie ragioni la pratica di domenica mattina.
Si è deciso quindi di incontrarsi nell’ufficio del maestro Lipparelli e procedere ad una coinvolgente lezione teorica tenuta sempre dal maestro Sakai, approfondendo gli argomenti visti il giorno precedente e approfittando del tempo a disposizione per interfacciarsi col maestro attraverso varie domande inerenti alla nostra disciplina.
Giunti ormai al termine della mattinata, il maestro si è lasciato andare ad una discussione informale riguardante il kendo ed il suo rapporto con lo shiai.
Il discorso è partito da un episodio che in molti hanno seguito, ovvero la finale a squadre degli ultimi mondiali di kendo. A suo dire, in Giappone non è stato approvato il modo di combattere della squadra nipponica durante la finale, tant’è che la maggioranza dei giapponesi avrebbe preferito perdere piuttosto che vederli combattere a quel modo.
Questo perché il kendo dovrebbe essere finalizzato a colpire l’avversario, e quello deve essere l’obiettivo sul quale focalizzarsi. Quante volte abbiamo sentito i nostri maestri ripetere all’infinito che non si deve parare ma solo attaccare o contrattaccare?
Il concetto basico espresso dal maestro è che il kendo non è puntare a non farsi colpire. Mentre molto spesso in gara si tende a “chiudere” per non subire l’ippon.
Da queste considerazioni principalmente è nata la preoccupazione generale che si stia perdendo di vista il kendo che ci è stato tramandato dal passato, in favore di un kendo più “sporco”, dato dalla sportivizzazione della disciplina e dal fatto di voler vincere a tutti i costi, sacrificando quelli che sono i veri valori e principi del kendo.
Per farci seguire meglio questo filo logico, il maestro ha riportato l’esempio del judo, nato come arte marziale e oggi divenuto vero e proprio sport. A lungo andare infatti i modi di combattere (judo e judo da gara) si sono piano piano diversificati prendendo strade diverse e differenziandosi sempre più col passare del tempo. E ci ha raccontato come attualmente si stia cercando di tornare indietro, tentando di riportare il judo nei binari originali.
Concludendo, il maestro ci ha lasciato con una domanda. Appurato che anche i modi di fare kendo si stanno piano piano diversificando (kendo e kendo da gara), farà il kendo la stessa fine del judo?
Laura Formiga
Il fatto che questo tema sia sempre più trattato dai Maestri giapponesi fuori dal Giappone deve far riflettere su quanto sia ritenuto importante.
Che la paura del Kendo Olimpionico si stia diffondendo?

credits –
19 dicembre 2012 alle 3:41 PM
Modestamente penso proprio di no. Siamo (e resteremo) troppo pochi per essere appetibili in termini atletici. Questa è una fortuna, perché va da sé che dove c’è il numero c’è l’agonismo fine a sé stesso e spesso purtroppo anche pratiche che niente hanno a che vedere neppure con il più cinico degli sport. Tendiamo forse a dimenticare che il Kendo è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani e non le cose morte ha i suoi momenti di flusso e riflusso, dei cicli, questo è inevitabile. Quante volte abbiamo sentito dire che “lo spirito è morto” in un certo ambito per poi assistere a ruscoperte clamorose di vecchie buone pratiche? In ogni caso dipende da noi. Penso anche che generalmente si tende a mitizzare pratiche che ai loro giorni erano sicuramente al centro di polemiche, scuole di pensiero e anatemi di varia natura. A volte mi scopro a tentare vecchie guardie dei kata durante il gi-geiko spinto: farò bene, farò male? Onestamente dico solo che mi piace vedere cosa può succedere, e mi diverte. Se non mi divertissi nel farlo non sarei proprio in grado di insistere con il Kendo, almeno personalmente.
20 dicembre 2012 alle 8:53 am
Personalmente, da praticante, cerco di rimanere il più fedele possibile a ciò che i Maestri ma anche il mio insegnante mi dice. E’ un atto di fede istintivo. Cerco il bello, una pulizia del movimento assieme all’efficacia.
Se l’appetibilità di cui parli, è riferita alle olimpiadi, allora è vero anche il contrario, ossia perseverare il fine per cui entrando alle Olimpiadi di allarghi il bacino di praticanti.